Il DPCM dello scorso 2 marzo in merito alle Misure di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, al comma 3 dell’articolo 17 recita: «Fatto salvo quanto previsto all’articolo 18, comma 1, in ordine agli eventi e alle competizioni sportive di interesse nazionale, lo svolgimento degli sport di contatto, come individuati con provvedimento dell’Autorità delegata in materia di sport, è sospeso. Sono altresì sospese l’attività sportiva dilettantistica di base, le scuole e l’attività formativa di avviamento relative agli sport di contatto nonché tutte le gare, le competizioni e le attività connesse agli sport di contatto, anche se aventi carattere ludico-amatoriale». Un game over atteso dai più, considerando che la situazione pandemica dell’Italia, a un anno di distanza dall’inizio di questo incubo, non è certo migliorata, con alcune regioni tornate in zona rossa. E se nella puntata precedente abbiamo sentito la parte istituzionale, in questa abbiamo fatto un viaggio in provincia, prendendo ad esempio alcune realtà sportive per capire cosa sta accadendo al calcio dilettante, cartina tornasole di tutto lo sport dilettantistico, il quale s’interroga sul proprio futuro, cercando di rimanere a galla. In Inghilterra un’inchiesta del quotidiano The Guardian stima che il 25 per cento dei club dilettantistici potrebbe sparire.
«Secondo la nostra opinione non c’erano e non ci sono le condizioni per ripartire, anche perché i ragazzi non vivono di calcio e non possono permettersi di contagiarsi, c’è il lavoro, ci sono le famiglie», ha detto il direttore sportivo dell’USD Tegoleto, Andrea Chianucci, una delle società storiche della Val di Chiana che ha alle spalle oltre cinquant’anni di vita, con record epici per il calcio dilettante locale, attualmente in Prima categoria. Il Covid-19 ha bloccato i festeggiamenti per il cinquantesimo, con la speranza di poterli fare a settembre, ma non i progetti, come il centro polifunzionale costruito vicino all’impianto di proprietà, caso più unico che raro per una società dilettante. «Gli sponsor non ci hanno abbandonato, ma non basta. Senza pubblico è impossibile portare a termine gli impegni economici e in queste categorie, grazie ai derby, il pubblico è sempre stato numeroso e non è solo questione di avere 100 persone che guardano la partita. Si tratta di momenti di aggregazione sociale che sono venuti a mancare». Il Tegoleto spende 50-60mila euro per la Prima squadra e circa diecimila per lo staff tecnico del settore giovanile, con oltre 100 tesserati che all’inizio di questa stagione, una stagione mai partita, erano aumentati rispetto agli anni precedenti.
E mentre si ragiona e ci si proietta verso quella nuova, 2021-22, l’unica cosa che molte squadre dilettanti possono fare al momento, incombe anche la legge sullo sport, come documentato nella prima puntata, con risvolti ancora tutti da calcolare sul dilettantismo che, non solo nel calcio, vive quasi esclusivamente del volontariato di appassionati e genitori: «Le società che in questi anni hanno fatto del settore giovanile il proprio motore rischiano di morire. Noi abbiamo scelto un’altra strada, cioè portare in Prima squadra più giovani possibile, legarli alla nostra realtà, puntare sull’appartenenza. Oggi abbiamo in squadra Giacomo Bonci, attaccante e capitano che ha segnato più di 100 gol con la maglia biancorossa del Tegoleto. Ieri era Alessandro Poponcini, bandiere di questa società che hanno preferito giocare nella squadra del proprio paese piuttosto che andare altrove», sottolinea Chianucci.
Un’altra realtà storica della nostra provincia è l’A.C. Bibbiena, Casentino, che milita in Prima categoria. Mario Rosadini ha 70 anni, pensionato ed ex artigiano nel settore della galvanica, alla guida del sodalizio rossoblù da 36: «Non so da che parte farmi, la situazione è triste. Nel frattempo abbiamo riaperto la Scuola calcio, ma senza l’utilizzo degli spogliatoi e riceviamo pressioni da tutti, mentre continuiamo a non incassare un centesimo. Solo di pulmino per il settore giovanile spendiamo 30.000 euro l’anno. I nostri rimborsi spese per i giocatori della Prima squadra sono di 200 euro, per la maggior parte parliamo di ragazzi cresciuti qui. Ho chiuso il 2020 pagando tutti, ma adesso siamo a zero e ripartire non sarà affatto semplice. Il nostro budget oscilla tra i 200 e i 220mila euro l’anno, l’80 per cento del quale è per il settore giovanile». L’A.C. Bibbiena ha 300 ragazzi, per i quali ha già pagato a inizio stagione i cartellini, e con la pandemia è venuto meno il Torneo Città di Bibbiena, manifestazione diventata un punto di riferimento anche per società professionistiche che permetteva ai rossoblù di incassare più che con le partite di campionato della Prima squadra. «Qui non abbiamo la possibilità di farli allenare la mattina e mandarli sotto la doccia due per volta, tra scuola e professioni, così come non posso chiedere ai più grandi di giocare il mercoledì, nessuno vuole rischiare di perdere il lavoro. L’unica fortuna è il nostro basso profilo, non oso immaginare cosa sarà per quei club che pagano rimborsi spese di 1.000 o 2.000 euro il mese. In pratica abbiamo perso due stagioni e questa cosa ce la porteremo dietro per anni». Senza ristori, senza un programma che possa andare incontro alle società, molte delle quali hanno già pagato i tesseramenti di una stagione che, di fatto, non è mai ripartita, sarà difficile progettare il futuro, anche a partire dal prossimo 1° luglio. «Senza pubblico poi non avrebbe avuto alcun senso ripartire. Il calcio dei padri padroni è finito, bisogna programmare, avere un settore giovanile e calmierare i rimborsi spese».
Maurizio Lacrimini è uno dei vice presidenti della Baldaccio Bruni Calcio di Anghiari (Valtiberina) che milita nel campionato di Eccellenza. Il suo parere era quello di chiudere la stagione e ricominciare per bene la prossima: «Io sono preoccupato per i bambini più che per i grandi, i quali hanno giustamente paura di contagiarsi e non se lo possono permettere. I bambini che praticavano uno sport, qualunque esso sia, dal calcio alla pallavolo, ora stanno a casa davanti alla televisione. Si accorgono adesso che lo sport dilettante e di base ha una funzione sociale. Il nostro budget annuale si aggira intorno ai 200mila euro, ai nostri tesserati intanto abbiamo fatto pagare solamente un terzo della quota e visto quello che è accaduto ci sentiamo di dire che siamo stati lungimiranti. Per il resto, invece, gli sponsor non hanno rinnovato, soprattutto quelli dei cartelloni pubblicitari, legati alle partite e alla presenza del pubblico». Nel frattempo la società ha scontato dall’iscrizione i 6.000 euro di premio per avere fatto giocare molti giovani in Prima squadra nella passata stagione. «Come si fa a ripartire. Come posso essere sereno se qualche ragazzo si contagia e porta il virus a casa o al lavoro. Poi per le trasferte, secondo le norme anti Covid-19, dovrei utilizzare due pullman, ci sarebbero i pranzi, insomma non possiamo spendere 1.200 euro a trasferta, mica siamo la serie A; senza contare tutto il discorso relativo ai tamponi e ai loro costi». E mentre per l’Eccellenza si stanno prendendo decisioni storiche (dalle quali non sappiamo come e se si potrà tornare indietro) Lacrimini pensa che tutto lo sport di base dovrebbe essere considerato dilettantismo puro, investendo in allenatori e dirigenti di qualità più che nei calciatori, come fanno alcune squadre, con rimborsi da 18-20mila euro l’anno: «Sarebbe ora di farla finita con questi rimborsi spese esagerati nei dilettanti. Noi per fare un campionato con la Prima squadra spendiamo circa 55.000 euro, quando ci sono società che li spendono per tre calciatori».
Anche l’ASD Terranuova Traiana, Valdarno, milita in Eccellenza ed è la storia di una rinascita, dove non solo è stato ricostruito l’intero settore giovanile, ma anche il rapporto con il territorio. Un presidente in carica da 52 anni, ottico e fotoreporter con una grande passione per il calcio, che ha dato tutto sé stesso a questa avventura, sin dai tempi in cui era solo Traiana, fino a sfiorare la serie D nella scorsa stagione. «La situazione economica delle società è pessima, non si trovano sponsor e sono venuti meno pure i contributi delle pubbliche amministrazioni. La situazione è davvero complessa, forse era meglio non partire dall’inizio. Così si è innescato un meccanismo difficile da bloccare. Il nostro budget annuale è di 100mila euro e si va avanti grazie ai volontari e a chi antepone il bene della società ai propri interessi, ma sentendo le dichiarazioni dell’ex ministro dello Sport e la relativa legge si capisce come non ci sia mai stata attenzione vera verso il calcio dilettantistico», racconta Mauro Vannelli, presidente dell’ASD Terranuova Traiana. Società che, grazie alla collaborazione con l’amministrazione comunale, sta ultimando il villaggio per il settore giovanile, con lo sguardo di chi guarda sempre oltre. Vannelli è uno che non le manda a dire: «In Italia ci sono circa 16.000 squadre dilettanti e con i nostri soldi vivono tante persone, quindi dovremmo essere più coinvolti nelle decisioni che ci riguardano». Mauro Vannelli vorrebbe lasciare la società in buone mani, ma non le trova, molti temono di rimetterci considerando anche quello che è accaduto con la Terranuovese: «Ho visto cosa significa spendere senza criterio nel calcio e poi azzerare completamente un’esperienza, svuotando il territorio. Noi, grazie a ottimi collaboratori e alle famiglie, abbiamo ricostruito da zero un ambiente e un rapporto prima che una squadra di calcio, ma vedo che si continuano a dare rimborsi spese elevati, ai quali sarebbe opportuno mettere un freno. L’equilibrio economico è fondamentale, così come una Prima squadra di successo perché i risultati attirano giovani e pubblico. Intanto, cercando di guardare oltre la pandemia, abbiamo ripreso con gli allenamenti sparsi per i vari campi del territorio comunale, con gruppi ridotti di ragazzi per rispettare le norme anti Covid-19». L’assenza dei tornei giovanili sta facendo il resto, mentre la società ha rimborsato i tesserati per una stagione che è iniziata solo nelle intenzioni, ma non nella pratica sportiva.
Il nostro percorso tra le società del calcio dilettante si conclude ad Arezzo con il GS OlmoPonte A.S.D., squadra di Prima categoria, presieduta da Marco Treghini, ex dipendente di Banca Etruria in attesa di andare in pensione: «Ho sperato fino all’ultimo che ci fossero le condizioni minime per ripartire, ma con i vaccini stiamo andando lunghi. I ragazzi della Prima squadra, inoltre, sono sempre stati preoccupati di contagiarsi, chi lavora non se lo può permettere. Più delicato il discorso dei giovani, noi siamo arrivati ad avere 400 ragazzi, grazie anche alla collaborazione con Francesco Graziani (campione del mondo 1982, ndr) per la Scuola calcio. È difficile capire quale sarà l’impatto della pandemia su tutto questo, alcuni hanno smesso e recuperarli allo sport non sarà facile. Oltretutto su una società come la nostra, che ha fatto del settore giovanile il suo fiore all’occhiello, l’abolizione del vincolo sarebbe un colpo duro da assorbire, significherebbe lavorare per niente. Noi, in questa situazione, stiamo riuscendo comunque a fare tornare i conti, ma ho parlato con altri colleghi e ci sono società che non ripartiranno. Tutto ha un costo, le bollette, la manutenzione di campi e impianti, e se nessuno ci da una mano diventa molto complicato». Il budget per la Prima squadra è di 32mila euro, dimezzato per la pandemia, ma restare competitivi è sempre più difficile: «C’è il tema dei rimborsi spese, con società che, per esempio, fanno la Seconda categoria con 100mila euro. Senza un controllo diventa difficile trattenere i ragazzi e così si rischia di alterare i campionati, danneggiando l’intero movimento. Poi, volendo, ci sarebbe il tema dei ristori, parliamone, ma credo che sia importante controllare poi come quei soldi vengono spesi. Cioè, aiutiamo le società dilettantistiche a stare in piedi, ma non a spendere per fare uno squadrone, non avrebbero senso». Al GS OlmoPonte si cerca di lavorare con equilibro, grazie a un gruppo di volontari, senza rimetterci, facendo giocare in Prima squadra più giovani possibile cresciuti nel vivaio, come le altre società che abbiamo incontrato e come le tante che sicuramente condividono difficoltà e prospettive.
E mentre facevamo questa inchiesta, come anticipato nella prima puntata con Mario Tralci, consigliere regionale Figc, l’Eccellenza, attraverso una serie di deroghe ai format dei tornei dilettantistici, è stata ‘trasformata’ in campionato di interesse nazionale e ripartirà dalla prima o dalla seconda settimana di aprile, portando a termine solo il girone di andata, con il blocco delle retrocessioni (per salvaguardare soprattutto chi ha deciso di non ripartire, a fronte di evidenti problemi economici e non solo), la possibilità di allenarsi collettivamente e un protocollo relativo ai tamponi simile a quello della serie D. Da decifrare ancora i costi, nel rispetto delle norme anti Covid-19, e la conseguente mutualità delle serie professionistiche. La Baldaccio Bruni Calcio ha deciso di non riprendere l’attività agonistica e le parole, a nostro modesto parere, del vice presidente Lacrimini dovrebbero essere appese all’ingresso di ogni palestra e di ogni campo dove si pratica (più corretto dire, praticava) sport: «Credo che in questo momento in Italia la ripresa del calcio dilettantistico sia un non problema. Credo sia più importante evitare di far contagiare i ragazzi, non possiamo rischiare di portate il Coronavirus nelle aziende e nelle famiglie, non ci voglio nemmeno pensare. Si riparte perché c’è qualcuno che vuole andare in serie D, magari potevano chiedere il ripescaggio vista la situazione. Ripartire senza sponsor, con le bollette e la manutenzione da pagare e senza pubblico, per noi è impossibile. L’Umbria ha deciso all’unanimità di non ripartire e noi siamo sulla stessa linea. Se guardo al futuro di questo sport penso sempre la stessa cosa: dobbiamo ricominciare dal dilettantismo puro, facendo attenzione a quelle società che pagano rimborsi spese inaccettabili per realtà come la nostra. Infine una considerazione. Ci sono Paesi dove il 5 per cento dei diritti televisivi vanno ai dilettanti e così i settori giovanili continuano a sfornare calciatori che poi un giorno arrivano al professionismo e in Nazionale. In Italia tutto questo non accade perché siamo un settore dimenticato». L’ASD Terranuova Traiana, invece, nonostante dubbi e titubanze ha deciso che giocherà: «La nostra decisione, al momento, è di proseguire. Abbiamo tanti ragazzi giovani che vogliono giocare, così ci siamo incontrati e ci siamo accordati anche sui rimborsi spese, più vicini alla Terza categoria che all’Eccellenza. C’è ancora un mese e molto dipende da ciò che decideranno a Roma su tamponi, mutualità e ristori. Nei vari incontri fatti abbiamo messo i puntini sulle i e non vogliamo sorprese in questo senso. C’è poi da vedere come evolve la pandemia in Toscana, perché i numeri di questi giorni non sono buoni. Insomma, ho 82 anni e vorrei finire in bellezza la mia avventura calcistica, oggi un presidente non ha solo responsabilità economiche, amministrative e sportive, ma anche sanitarie. La voglia di ripartire c’è, indubbiamente, ma ci devono essere tutte le condizioni per farlo. Dire sì adesso significa prendersi responsabilità enormi», chiosa Mauro Vannelli.
C’è, infine, un aspetto che in chiave futura preoccupa, anzi che dovrebbe preoccupare tutti coloro i quali hanno a cuore le sorti del calcio dilettante in particolare, dello sport di base in generale. L’età dei presidenti. Ricordiamole. Benito Randellini, USD Tegoleto, gestiva una falegnameria ed è in pensione da due anni. Mario Rosadini, A.C. Bibbiena, ha 70 anni e anche lui è pensionato, così come Mauro Vannelli, ASD Terranuova Traiana, che di anni ne ha 82. Pensionato pure Marco Treghini che ne compie 63 in questo mese. Maurizio Lacrimini, vice presidente della Baldaccio Bruni Calcio, ne ha 66 e ha un’azienda orafa. «Non si fanno nemmeno le elezioni – sottolinea Treghini – perché non troviamo nessuno che mi possa sostituire». Vannelli da dieci anni cerca un sostituto ma senza successo. Ecco il calcio dilettante è in mano a persone che ne hanno fatto una missione di vita, per l’amore per lo sport e le comunità di riferimento, grazie a gruppi di volontari che continuano a mandare avanti queste realtà. Il Coronavirus sta colpendo duro, poi ci si metteranno pure l’abolizione del vincolo e i contratti di lavoro sportivo. Scelte sopra la testa di persone e ambienti che hanno rappresentato un enclave sociale per ragazzi, ragazze e famiglie, scelte incomprensibili per chi ha vissuto da sempre questo mondo da vicino. In Inghilterra il calcio dilettante rischia di perdere il 25 per cento dei club. In Italia? Difficile dirlo al momento. Se il piano vaccini funzionerà, se al 1° luglio la stagione ripartirà con sguardo 2021-22, allora, e solo allora, potremo fare la conta di cosa abbiamo perso, in Italia come in provincia di Arezzo. Chi sarà rimasto in piedi e chi no. Chi ancora avrà voglia di scommettere sul futuro dei giovani e chi invece sarà stato costretto a rinunciarvi. Pensare adesso di poter tornare allo stadio a vedere una partita dal vivo sembra una chimera, un sogno. E allora sogniamo, sogniamo di tornare a sentire quei rumori, annusare quegli odori, lasciare che il sapore di erba e fango ci colpisca come la prima volta. Però, perché questo possa accadere, bisogna che le pubbliche amministrazioni inizino a preoccuparsi di tutto lo sport di base, fare il punto della situazione, programmare il futuro. Per non perdere i ragazzi e le ragazze. Per non perdersi. Sarebbe una sconfitta dura e insopportabile.
2. fine