Un po’ samurai, un po’ eremita. Un po’ Salgari e un po’ Mister No. Fabio Valdambrini, classe 1964 e aretino DOCG, è uno dei fumettisti italiani più quotati che ha deciso di alzare la testa dal foglio bianco per raccontarsi ad Up. Conosciuto in città per il suo tifo e la sua passione per la squadra amaranto, il suo tratto di matita ha disegnato alcuni dei personaggi più iconici del fumetto italiano, da Mister No, appunto – quello da lui più amato perché considerato il meno ‘bonelliano’ di tutti – al giovane Tex Willer. Diplomato ragioniere, la curiosità e la passione gli hanno fatto visita da adolescente, a cavallo tra la terza e la quarta superiore, quando, grazie ad amici comuni, ha iniziato a frequentare Fabio Civitelli, il capostipite della ‘scuola’ aretina: «Ho iniziato a frequentarlo e a rompergli le scatole. Mi piazzavo dietro di lui e lo osservavo. Vedendo che mi piaceva ha iniziato a coltivarmi: io facevo un disegno e lui lo correggeva, come accade a me oggi con i più giovani. Mi dava i compiti e mi diceva di tornare la settimana successiva e così piano piano miglioravo. Andavo a bottega, una cosa che oggi non usa più».
La gavetta, che in un mestiere artigianale – nel senso migliore del termine – come quello del fumettista non può mai mancare. E per Fabio è continuata: «Ad Arezzo c’erano altri disegnatori e dopo un po’ mi è stato offerto di aiutare Marco Bianchini, che si stava cimentando nei fumetti erotici, iniziando di fatto a lavorare. Facevo gli sfondi, preparavo le bozze e i disegni preliminari. Questa è stata la mia seconda fase dell’andare a bottega e nel frattempo facevo esperienza e miglioravo ancora. Con Marco ho lavorato per tanti anni, lui piazzava i miei lavori. La mia prima serie si intitolava Strega: l’ho ritrovata in vendita su eBay a 79 euro il pezzo; il numero 1 è uscito nel gennaio del 1988. Poi ho proseguito con il genere horror su Splatter e Mostri, due riviste della casa editrice Acme, finché non mi ha chiamato l’Intrepido, Editrice Universo, settimanale di fumetti con il quale ho realizzato la serie Turma, sui testi di Marcello Toninelli. Una serie molto importante per me perché mi ha fatto notare da Sergio Bonelli che mi chiamò chiedendomi di mandargli delle prove e a oggi sono trent’anni che lavoro con lui».
Un ingaggio di cui andare fieri, perché i personaggi erotici all’inizio facevano guadagnare ma non si potevano far vedere nemmeno in famiglia: «L’aspirazione non era quella, anche se poi Manara, in Francia, ha sdoganato il fumetto erotico… però devi essere Manara», chiosa Fabio.
L’esordio è stato con Mister No in Casablanca cafè, ambientata a Cuba, e quest’anno ha realizzato la copertina della riedizione cartonata. Le copertine per un fumettista rappresentano sempre un approdo professionale prestigioso. Poi Demian, Caravan, Cassidy e Saguaro: «Con Cheyenne, un romanzo di Sergio Bonelli, sono entrato nello staff di Tex Willer, il Tex giovane. Sembra ieri e invece sono già passati tantissimi anni». Anni di lavoro continuo che ha delle cadenze precise, quasi ritmate, come quelle di un tamburo dentro la jungla: «Si inizia quando arriva la sceneggiatura, come nel cinema. Un racconto molto dettagliato da cui cominci a costruire la pagina, la quale diventa un primo schizzo, una specie di storyboard. Dalla matita si passa alla tavola inchiostrata. L’inchiostratura è un passaggio delicato che si fa con strumenti che sembrano usciti dai film in bianco e nero: pennino e pennarello per i contorni. Infine il pennello per le ombre e i chiaroscuri», racconta Fabio Valdambrini, che si firma FValda.
Ma qual è la cosa più difficile per un fumettista? «L’ambientazione, riprodurre l’atmosfera, far recitare i personaggi e stare attento alle somiglianze, perché le uscite sono cicliche e ogni volta che arrivi al pubblico, ai lettori, non puoi permetterti di abbassare lo standard, devi mantenere sempre la stessa qualità, o preferibilmente superiore. Non puoi permetterti stravizi, ogni mattina devi essere presente a te stesso sul tavolo, devi essere lucido e senza pensieri, perché hai il foglio bianco davanti e lo devi riempire. Le ferie che posso permettermi sono poche, perché guadagni per quanto produci». E poi c’è tutto il lavoro di documentazione, ricordando che Emilio Salgari, autore del ciclo dei pirati della Malesia, viaggiò pochissimo: «Aurelio Galleppini, in arte Galep, non credo sia mai uscito dall’Italia. Oggi c’è Internet ma una volta c’erano solamente i libri, gli atlanti, e per documentarsi ci seppellivamo sotto i tomi. Però è bene ricordare che, nonostante tutti i mezzi a disposizione, la qualità del fumetto non è migliore di quello di cinquant’anni fa, anzi, sono stati disegnati capolavori straordinari senza un’adeguata documentazione. Il fumetto è un genere popolare e la sua funzione è quella di intrattenere il lettore, per fare questo io, attraverso la ricerca e il disegno, devo rendere agile e facile la lettura. Oggi tra la Rete e le serie televisive è un genere attaccato da tutti i lati, ma ritengo che ci sarà sempre uno zoccolo duro che andrà in edicola a comprare il fumetto cartaceo. Certo c’è anche quello digitale, ma per me l’esperienza della carta, il suo odore, resta impareggiabile».
La vita del fumettista è una vita solitaria, tra il samurai, per la disciplina, e l’eremita, per la concentrazione che richiede: «Se arriva una telefonata, banalmente, io mi interrompo e riprendere poi il pennello in mano con la stessa attenzione non è semplice. Chi soffre a stare da solo non può fare questo lavoro, è una dimensione particolare, dove magari la musica o la radio in sottofondo possono aiutare nel raccoglimento. Alcune volte ho pensato di trasferirmi, andare in una grande città dove succedono cose, perché anche i rapporti sono importanti per un fumettista, mantenere le pubbliche relazioni, ma a me piace la mia dimensione. Ovviamente ci sono momenti di esaltazione e altri di crisi e li devi tenere a bada entrambi perché l’equilibrio mentale è fondamentale per disegnare bene. I momenti più belli sono quando il pennello va da solo, scorre sulla carta e realizza quello che hai in mente, come se tu ti stessi guardando da fuori. Il fumetto è un percorso che si svela piano piano, poco alla volta, disegno dopo disegno. Come il bushido per i samurai, una volta iniziato il percorso si tratta di seguire la via e con l’età si migliora, la mente vede cose che prima non realizzava. Sono, inoltre, circondato da persone, dai miei genitori alla mia fidanzata, a mio fratello e mia sorella, che mi hanno sempre sostenuto e pure questo è importante per l’equilibrio interiore».
Fabio è anche un grande tifoso dell’Arezzo, amareggiato come tanti dalle vicissitudini, economiche e sportive, della squadra amaranto: «Se dovessi fare un parallelo potrei dire che Menchino Neri è stato il Mister No dell’Arezzo», ci confida. Schivo e quasi timido Valdambrini fa quasi fatica a dirci che in un referendum indetto dall’ANAFI, l’Associazione degli amici del fumetto, per eleggere il miglior disegnatore italiano, è stato inserito nella cinquina finale arrivando secondo: «È stato fantastico, perché questo è davvero un grande riconoscimento. Poi mi capita pure di essere riconosciuto alle fiere, ma parlare di successo credo sia eccessivo, di sicuro amo il mio lavoro».
Fra Mister No e Tex Willer preferisce il primo come personaggio: «Mi sono innamorato subito di Mister No perché non è l’eroe tutto di un pezzo, ha i suoi difetti, non è perfetto e poi mi piacciono tanto le ambientazioni. Con Tex, però, siamo su un altro piano: è come un sogno realizzato. Io sono nato con lui, ho iniziato a leggerlo dalle elementari, mi sono appassionato alle sue storie e oggi faccio parte dello staff che lo disegna, non potevo chiedere di meglio».
Come scritto, il tempo per un fumettista non è tanto fuori dal lavoro, con orari quasi da ufficio: 8.30-13 e 15-19.30. Autodisciplina sempre e comunque, perché si deve confermare la qualità e perché ci sono i tempi di uscita e quindi di consegna dei disegni che devono essere assolutamente rispettati: «Staccare mentalmente è difficile, come ogni lavoro creativo la testa è sempre lì, tra ciò che hai fatto, ciò che ancora devi disegnare e quello che non sei riuscito a fare, i problemi che non sei riuscito a risolvere e tutto il resto. Perché, alla fine, il fumettista è sempre solo con il suo foglio». Nonostante questo a Fabio piace lavorare con i giovani e c’è qualcuno che gli è rimasto ‘attaccato’ e che gli porta i suoi lavori: «Alcuni sono riuscito a farli anche pubblicare. Ad Arezzo ci sono ragazzi bravi e mi piacerebbe coltivare di più la passione per l’insegnamento, è nelle mie corde. Negli Stati Uniti esistono equipe, studi con più disegnatori, da noi no, è una questione culturale. Dentro Sergio Bonelli Editore ce ne sono tanti e di bravissimi, ma non parlerei di scuola. A me, invece, piacerebbe insegnare ai più giovani, mettere al loro servizio la mia esperienza ultrà trentennale, però per farlo ci vuole tempo e io ne ho sempre di meno, a volte sono costretto a lavorare di notte, ma devo stare attento perché affatico troppo la vista e il disegno potrebbe risentirne. Mi ci vorrebbero altre due vite per fare tutto». Proprio come qualcuno dei personaggi che disegna, con talento eccelso e concentrazione sopraffina.