Una cantina splendida, che segue i criteri della bio architettura. Vini emozionanti che procedono per sottrazione, interpretando con eleganza un territorio vocato. Ecco Podere di Pomaio: un microcosmo alle porte di Arezzo, aperto alle visite e incubatore del #ThinkGreen. A svelarne i segreti sono i fratelli Iacopo e Marco Rossi, che puntano tutto sulla qualità dei prodotti, recitando il mantra delle quattro R: “riduci, riusa, ricicla, ripensa”
“Quando è moda è moda”, cantava polemicamente Giorgio Gaber. E quella dei vini bio (biologici, biodinamici, naturali) è oggi dilagante; piccoli e medi produttori, ma anche giganti del panorama enoico, si accostano alla tendenza del momento, che carezza le confuse idee di una platea di consumatori vasta e assetata. Ed ecco che i vignaioli più disparati, dal contadino all’industriale, si ritrovano incredibilmente tutti insieme sotto le insegne del buono, sano e artigianale. Qualità vera? Presunta? Comunque strombazzata: è il marketing, bellezza.
Ma quando ancora il tema della sostenibilità percorreva sotterraneamente l’enomondo, poco fuori Arezzo, in località Pomaio, già era sgorgato. Affiorava in un podere preso da Pierferruccio Rossi nel 1991, imprenditore delle costruzioni con il pallino dell’economia green. Le produzioni: olio inizialmente; poi, negli anni, il vino, grazie all’opera dei figli Iacopo, dottore in agraria e motore della proprietà, e Marco, specialista delle relazioni e della comunicazione. L’idea? Far vini buoni e senza artifici, in punta di piedi, con minimo impatto per natura e paesaggio. Negli anni 2000 è stata sviluppata l’idea della cantina, progettata dalla compagna di Pierferruccio, l’architetto Marisa Lo Cigno, e realizzata secondo i criteri della bioarchitettura: è stata scavata nel terreno ed edificata riutilizzando i massi ciclopici emersi. Un gioiello incastonato tra la città e l’Alpe di Poti, inserito nel circuito Toscana Wine Architecture, che seleziona le quattordici più belle cantine di architettura moderna della regione Toscana, tra cui templi del vino progettati da Tobia Scarpa, Renzo Piano e Mario Botta.
“La nostra, tra le quattordici, è certamente la più piccola – sorride Marco Rossi –, costruita sulle fondamenta dell’efficienza energetica e della sostenibilità: sfruttiamo la geotermia, le emissioni sono limitate. Gironzolando nella proprietà, si potrà osservare che non esistono cavi sospesi. Strutture e arredi, per forme e colori, devono inserirsi in un contesto naturale, rispettandolo. Non solo, i nostri vini provengono da agricoltura biologica certificata e, senza entrare nel ginepraio della naturalità, ci piace definirci produttori sostenibili. Pochi gli ingredienti oltre l’uva e pochi solfiti aggiunti. Da un paio di anni facciamo parte dei Vignaioli indipendenti, associazione tra produttori che curano tutta la filiera dalla vigna all’imbottigliamento, passando per la vinificazione. Ogni anno facciamo uscire 15-18mila bottiglie, non di più, curandone ogni dettaglio”.
Il “Ri-pensa”, imperativo aziendale relativo alle pratiche da seguire, è la quarta “R” che si aggiunge a “Ri-duci, Ri-usa, Ri-cicla”, mantra della filosofia ThinkGreen che impregna i 23 ettari di proprietà (di cui tre destinati ai vigneti).
“La qualità della produzione dell’uva, in questa zona, è testimoniata da tempo – spiega Iacopo Rossi. Il toponimo Pomaio deriva da Pomarium, ovvero frutteto in latino. Al momento dell’acquisto, c’erano uliveti, da cui tutt’ora ricaviamo il nostro olio. Nel 2001 è nato l’agriturismo e nel 2004 sono stati impiantati i primi filari, sangiovese per lo più. A cavallo tra il 2009 e il 2010 è stata terminata la costruzione della cantina e la vendemmia del battesimo è il 2010. Nel 2016 abbiamo ultimato il recupero di altre due strutture ricettive, oggi possiamo contare su venticinque posti letto in due case coloniche, ciascuna con la propria piscina a disposizione degli ospiti. I visitatori? Molti connazionali tra l’autunno e l’inverno, in primavera ed estate sono di più gli stranieri. La cantina è aperta alle degustazioni e alle visite su prenotazione e spero che sempre più aretini vengano a visitarci per fare un’esperienza di wine tasting & tour.
Da quest’anno le etichette di Podere di Pomaio sono sei, la novità è un vino ottenuto da una fermentazione spontanea del millesimo 2014, fa parte di una linea che si chiama Origini: solo lieviti indigeni, fermentazione in acciaio, 100% sangiovese. Ci sono poi le certezze consolidate; il rosato Rosantico, ottenuto da uve sangiovese, fermentazione a temperatura controllata con mosto a contatto con le bucce solo per poche ore. Il rosso Igt Toscana Pomaio è un vino semplice e immediato. Il Chianti Docg ha una piccola quota di merlot (10%) che si aggiunge al sangiovese. E poi il grande Porsenna, che fa un passaggio in botti di rovere e castagno, nel rispetto della tradizione toscana. L’annata 2011 è stata selezionata da Andrea Galanti, miglior sommelier d’Italia Ais 2016, tra le dieci più interessanti della regione, in compagnia di un mostro sacro come il Masseto della tenuta dell’Ornellaia, oppure Castello di Ama e Paleo Le Macchiole. Chiude la gamma il Clante, Merlot in purezza, frutto di una coltivazione ad alberello. Una pianta produce una bottiglia, a volte di meno. Al pari del Porsenna, esce soltanto nelle annate migliori. Per la vendemmia 2014 sono state etichettate 634 bottiglie di Clante, una rarità di montagna. A due passi da Arezzo