Il ristorante Octavin, la vineria Otto, a breve la patisserie Cloé: locali in pieno centro storico, a poca distanza l’uno dall’altro, che seguono la medesima filosofia.
Luca Fracassi è uno chef apprezzato che ha scelto di investire sulla sua passione e nella sua città. “Quando ho cominciato, sapevo fare poco o niente. è stata fondamentale la gavetta oltre alla scuola di mia mamma e mia nonna. Oggi propongo ai clienti le tipicità aretine rielaborate con un tocco di internazionalità, anche se pepe nero, aglio e finocchio non mancano mai”
“Ho un diploma da geometra, non ho mai frequentato scuole di cucina e la prima volta che sono andato fuori città per lavorare, sapevo fare poco o niente. E’ la passione che mi ha sorretto e portato fino qui”. Luca Fracassi, 36 anni, aretino, oggi è uno chef apprezzato e con un curriculum invidiabile. La sua storia è la dimostrazione lampante che volere è potere e che, se dentro il cuore brucia il fuoco della tenacia, non c’è ostacolo che non sia superabile. “Ho aperto il ristorante Octavin tre anni fa. Poi è toccato a Otto, la vineria. E a breve verrà inaugurata Cloé, una piccola patisserie: tutti locali a poca distanza l’uno dall’altro, in pieno centro storico. Non so se il mio sia coraggio o incoscienza, di sicuro ho preso esempio da Copenaghen, una città che amo moltissimo. Lì è consuetudine che il proprietario di un ristorante gestisca anche una panetteria, un bar o altre attività ispirate dalla medesima filosofia. Mi sono detto: perché non ad Arezzo?”.
La gavetta
“Oggi il pensiero comune è che fare lo chef sia figo. In realtà è un lavoro faticoso e se non hai motivazioni al top, molli dopo pochi giorni. Io a 20 anni ho fatto il grande passo e sono andato a Rieti, ristorante La Trota. Mi è sempre piaciuto cucinare per gli amici ma lì ho sbattuto la faccia contro la realtà. Dividevo un piccolo appartamento con altre due persone, non avevo tempo libero, ero diventato un automa: tre anni in trincea dove ho imparato tantissimo, però alla fine sono scappato. In seguito ho vissuto due esperienze molto importanti da Teverini a Bagno di Romagna e da Magnolia a Cesenatico, per poi affrontare uno stage di tre mesi a Girona, in Spagna, al Celler de Can Roca: tre mesi che mi hanno profondamente segnato dal punto di vista professionale. Nel 2014 mi sono avvicinato a casa, a Manzano, ai Tenimenti d’Alessandro. Tre anni splendidi, al termine dei quali ho capito che era arrivato il momento di realizzare qualcosa di mio”.
Octavin
“Octavin è l’ottava nota, quella dell’improvvisazione, dell’estro. La pronuncia è alla francese, ho scelto questo nome perché mi piaceva la fonetica. E pure la location: la scalinata Camillo Berneri è un po’ nascosta, va scoperta ogni volta. All’inizio avevo molti timori, non lo nego: la storia del nemo propheta in patria mi rimbalzava in testa, anche se ho sempre avuto fiducia, pure quando mi sono scontrato con la diffidenza della gente. Ma l’avevo messo in conto. Il mio amico Giovanni Aliciati fa il mio stesso lavoro e mi ripeteva: “per i primi tre anni gli aretini guardano se chiudi o resisti. Se rimani aperto, allora vengono”. Non dico sia stato così, ma quasi. Oggi la clientela è mediamente più preparata di una volta: sa cosa vuole, sa come giudicare un piatto. Per chi sta in cucina è più difficile e più stimolante insieme. Io per fortuna sono cresciuto con le ricette casarecce, genuine di mia mamma e mia nonna: non potevo aver paura”.
Pepe nero aglio finocchio
Valorizzare le tipicità aretine con un tocco di internazionalità e tramite selezione dei prodotti e degli ingredienti: questo è l’obiettivo di Octavin, dove si mangiano pasta e verdure, carne e pesce d’acqua dolce. I piatti, come dice Luca, “sono ingannevolmente semplici ma esaltano al massimo odori e sapori”, con un menu che varia di continuo. “Mi piace tenere tutto sotto controllo, per questo ho un rapporto stretto con i fornitori e i produttori, puntando su qualità, stagionalità, sostenibilità. La nostra è una proposta che i clienti possono trovare solo da noi, una cucina contemporanea contestualizzata su Arezzo, con tre pilastri imprescindibili: pepe nero, aglio, finocchio. Presentiamo solo menu degustazione perché ci consente di lavorare sempre con ingredienti freschissimi. E poi, con un percorso che va dall’entrée al dessert, riesco a mettere in tavola la mia idea di Arezzo: scelgo un solo tipo di olio, un solo tipo di pane, sperando che piacciano. Non per autoreferenzialità, bensì per offrire una visione a 360 gradi. Il vino, ovviamente, è parte integrante di Octavin e rispecchia i miei gusti, con bottiglie che scelgo con attenzione, adatte al contesto. Due o tre volte all’anno vado in Francia a selezionare le etichette: Borgogna, Loira, Jura sono le mie zone preferite”.
Garden
Un agriturismo a Ruscello, alle porte della città. Un orto a disposizione per coltivare cavoli, radicchio, insalate di vario tipo, pomodori, carote, zucche, rape, cipolle, erbe aromatiche. Un serbatoio fondamentale per il ristorante, la base di una filiera che consente di creare piatti genuini, controllati. “Quando vado lì, riposo il fisico e la testa. Riesco a staccare, a rilassarmi, con il bosco a poche decine di metri e un piccolo torrente poco più in là. Poggio Pellicciaia è gestito dalla famiglia della mia fidanzata, Sofia, e l’orto è una seconda casa per noi, un laboratorio delle idee dove la scorsa estate, in collaborazione con la onlus Autismo Arezzo, abbiamo allestito una fattoria didattica che è stata un’esperienza toccante e significativa. Non utilizziamo fertilizzanti né prodotti chimici perché credo molto nella necessità di ridurre consumi e sprechi, cui non può sottrarsi nemmeno la ristorazione. All’inizio avevo in mente di pianificare ogni singola semina in funzione dei menu, poi ho capito che era meglio il contrario. Ma va benissimo lo stesso”.
Lo staff
“Insieme a me lavora Sofia, la mia imprescindibile metà. E’ lei che gestisce il garden e lo fa con grande passione e competenza. Alessandro, aretino anche lui, è il maitre. In teoria è un dipendente, in pratica è un socio: siamo sulla stessa lunghezza d’onda, decidiamo insieme cosa fare e come farlo. A breve arriverà anche Stella per occuparsi della vineria: è una ragazza giovane, ci porterà una bella scarica di energia positiva di cui c’è sempre bisogno”.
Otto e Cloe
L’emergenza legata al covid, manco a dirlo, è stata una disdetta per tanti motivi. Ma siccome fare di necessità virtù non è affatto sbagliato, la pandemia ha stimolato la partenza di progetti nuovi. “Otto, la vineria, all’inizio era dedicata all’e-commerce. Poi ha trovato una casa in via Guido Monaco ed è diventata un posto dove ordinare un bicchiere di vino, comprare una bottiglia, fermarsi a fare due chiacchiere. Cloé invece sarà un’appendice del ristorante. Abbiamo in mente tre fasce orarie: dalle 9 alle 12 per la caffetteria, dalle 12 alle 15 per il brunch, dalle 15 alle 18 per la sala da the. Tutto ciò, sperando che la situazione sanitaria migliori e che si possa tornare finalmente a una vita normale”.
Arezzo
“In questi anni, più di una volta mi hanno offerto delle sponsorizzazioni per spostare i miei locali da un’altra parte. Quasi sempre a Milano. Ho detto di no perché da Arezzo sono mancato per tanto tempo e ora voglio godermi la mia città. Poi perché la qualità della vita mi ripaga di qualche carenza tipica della provincia. Infine perché ho sperimentato in prima persona che altrove non c’è l’eden, anzi. A me piace qui e piace così, con il ristorante, la vineria, la patisserie, attività che si intrecciano e che creano una sinergia virtuosa. Poi, abitando ad Arezzo, una volta alla settimana posso mangiarmi il coniglio in porchetta di mia nonna Olga. E a quello ho sempre rinunciato malvolentieri”.