«Certo bisogna farne di strada», cantava Fabrizio De André ed Edoardo gli ha dato retta anche se nel «gesto molto più umano» non ha trovato la violenza bensì l’altro fuori di sé. Aretino, classe 1986, ha scelto sempre la strada meno battuta, tra il lavoro e lo studio: Scienze dell’educazione. Ha lavorato per la cooperativa il Cenacolo, occupandosi dell’inserimento delle persone con disabilità in ambito professionale. Ed è lì che a Edoardo è scoccata la scintilla, interessandosi sempre di più a quel mondo, spesso, invisibile alla realtà che consideriamo, erroneamente, normale.
Ex schermidore, si è laureato con una tesi su sport e disabilità, comprendendo come fosse una prateria ancora tutta da scoprire: «Mi sono reso conto che cercando testi su cui approfondire il mio lavoro per la laurea c’era poco o niente, l’unica cosa era la storia del CIP, Comitato Italiano Paralimpico, fondato nel 1974 con presidente Giovanni Pische, ex pilota militare, divenuto paraplegico in seguito all’abbattimento del suo aereo su Malta duramente la Seconda guerra mondiale. Però niente di organico sulla disciplina, sul rapporto tra sport e disabilità». Solo qualcosa di specifico su alcune discipline, che nel frattempo si erano evolute in senso paralimpico. Anche perché la maggior parte degli studi è stata fatta sulla disabilità cognitiva, la quale sportivamente afferisce alla Special Olympics: «Ho trovato un testo sulla danza e qualcun altro sulla Terapia Multisistemica in Acqua, TMA, Metodo Caputo Ippolito, specifico per il nuoto. Attività fisiche adattate. Realtà ben consolidate che hanno studiato e approfondito metodologie e tecniche specifiche per specifiche disabilità. Il problema, infatti, di molti delegati provinciali del Comitato Paralimpico Italiano è quello di non riuscire a mettere insieme tutte le realtà che operano sul territorio, simili ma parallele. Nel nostro, per esempio, ce ne sono tantissime che fanno sport con persone con disabilità, sia cognitiva che fisica, ma senza un coordinamento. La locale Special Olympics ha raggiunto risultati eccellenti portando i propri atleti a gareggiare negli Stati Uniti, i quali hanno vinto la medaglia d’oro, però loro non partecipano ai Giochi».
La scherma ha portato Edoardo Cerofolini a diventare delegato provinciale del CIP. Lì dove ha iniziato e lì dove è tornato, grazie al Circolo Schermistico Aretino: «La scherma affonda le sue radici nella nobiltà, prima era uno sport esclusivamente d’élite, che non tutti si potevano permettere di praticare, ma di fondo è una disciplina che lavora su valori nobili: dal rispetto dell’avversario all’accettazione della sconfitta. A me ha aiutato tanto, sotto vari punti di vista. Da quello fisico, la resistenza e la muscolatura, a quello mentale, si vince con la testa e si sviluppano concentrazione e reattività, prendendo decisioni in millesimi di secondo, sapendo leggere i momenti e volgerli a proprio vantaggio. Quando ho preso la patente ho utilizzato quello che ho imparato tirando di scherma: dai riflessi alle misure dei parcheggi. Senza dimenticare il divertimento, non ho mai avuto pretese olimpiche. Ed è fondamentale che pure l’adulto si diverta praticando questa disciplina sportiva. E pensare che tutto è nato quando per gioco, a Carnevale, mi hanno messo in mano la spada di Zorro».
Una passione che, tra alti e bassi, ha continuato a covare nel cuore di Edoardo: «Per me il Circolo Schermistico Aretino è sempre stato una seconda famiglia, così quando mi sono riavvicinato, tra i diciotto e i diciannove anni, mi hanno chiesto di dargli una mano in palestra con i più piccoli, frequentando corsi di istruttore, regionale e nazionale. Sempre in quel periodo ci fu un campus organizzato dal Comitato Italiano Paralimpico, all’Isolda d’Elba, mancava un istruttore di scherma e visto che avevo già lavorato con persone con disabilità mi feci avanti. Lì conobbi Porciani, presidente regionale CIP, su Arezzo non c’era ancora nessuno e così decisi di ricoprire quel ruolo: l’obiettivo era di avvicinare alla pratica sportiva quante più persone con disabilità possibili, facendole uscire di casa. Iniziai organizzando delle manifestazioni in Valdarno e da lì iniziò anche la mia carriera di formatore, sulla quale ho tenuto convegni e conferenze, specializzandomi sul bullismo in ambito sociale». Il lavoro di Edoardo ha toccato le corde di alcuni ragazzini più dotati, sapendoli coltivare, cercando, contemporaneamente, di portare avanti tutti, quello bravo e quello meno bravo, potendo entrambi sperimentare la trasferta e il momento della gara. Arrivando a ospitare un circuito interregionale al Palacaselle di Arezzo.
«Il lavoro di delegato CIP, ruolo che ho ricoperto dal 2014 al 2020, non è stato semplice, innanzi tutto perché non può essere il lavoro principale di una persona e poi perché non sempre si riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati. Organizzare manifestazioni insieme ad altri enti è complicato, perché si va dalla semplice società sportiva a quella che comprende anche lo sport ma si occupa di altro. Le collaborazioni più importanti sono riuscito a metterle in piedi in Valdarno, in particolare nel comune di Montevarchi».
Sport e disabilità sono oramai (e per fortuna), nel nostro immaginario, due sinonimi, grazie alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016 e a quelle di Tokyo 2020 (2021), ma poi sul territorio non è così semplice, soprattutto per chi deve praticare discipline sportive in carrozzina: «Nella nostra provincia c’è una realtà di quad, che però non è sport olimpico, un’altra che si occupa di subacquea, ma nemmeno questa è disciplina olimpica, fino al Circolo Tennis Giotto che con Giulia Capocci, per il wheelchair tennis, ha ottenuto risultati importanti. La scherma in carrozzina permette, innanzitutto, di rivolgersi a una fascia d’età eterogenea, pure non giovanissima, e poi non richiede, inizialmente, una particolare prestanza fisica, chiunque può provare. Avevo iniziato i corsi per persone con disabilità nel 2018, continuando nel 2019 e interrompendomi a causa della pandemia e anche perché non riuscivo a conciliare il lavoro con l’impegno in palestra. L’idea, però, era di riprendere già a gennaio, febbraio, del 2020. Eravamo riusciti a mettere insieme otto ragazzi e adesso ripartiamo con loro più altri tre che sembrano interessati. In tutto questo è stato importante il lavoro sinergico con Giusy Albiani, attuale delegato CIP e già schermitrice in carrozzina, la quale ha preso contatti con gli assessori Tanti e Scapecchi, i quali si sono resi disponibili ad aiutarci per trovare una struttura idonea, visto che non si tratta solamente di avere una palestra, ma una palestra con spogliatoi e bagni adatti alla pratica sportiva per persone con disabilità. Nell’esperienza degli anni precedenti, fondamentali erano state le collaborazioni con il Centro di Aggregazione Sociale di Agazzi, la senatrice Nisini e Paolo Lucattini, con il quale avevamo precedentemente costruito delle sinergie. Non solo siamo riusciti a portare la scherma in carrozzina nelle scuole, grazie alla collaborazione tra CIP e Special Olympics, ma siamo riusciti a praticare pure allenamenti integrati: cioè ragazzi normodotati che tiravano di scherma insieme a quelli con disabilità, creando un ambiente di scambio reale, una vera integrazione. La sfida è fare conoscere gli sport paralimpici ai ragazzi e alle famiglie, che spesso non sanno e a volte non vogliono».
La disabilità è uno di quegli ambiti che attende da decenni una rivoluzione culturale in questo Paese, nonostante i passi avanti fatti, ma quando ancora oggi un ragazzo di trent’anni in carrozzina vede per strada mamme che coprono gli occhi ai propri bambini e bambine, perché non vedano, il suo stato d’animo è la misura tra quello che percepiamo e quello che è in realtà: «Alcuni si vergognano, altri non accettano la disabilità. Lo sport paralimpico è una realtà ed è una realtà che deve crescere, perché sarà uno dei mattoni della società di domani». L’obiettivo sociale e sportivo di Edoardo Cerofolini e del Circolo Schermistico Aretino è quello di sensibilizzare la città su un tema ancora tabù per molti. Non si tratta solamente dell’accettazione della persona con disabilità nel contesto sociale, e ci mancherebbe ancora, si tratta di vedere la persona che c’è dietro e dentro quella disabilità, creando occasioni e spazi perché questa si possa esprimere anche dal punto di vista sportivo: «L’obiettivo di Pancalli, presidente del CIP, è ancora più ambizioso: Giochi Olimpici unici». Una follia organizzativa? Forse. Il sogno di una società sportiva inclusiva? Sicuramente.
L’idea di Edoardo e del Circolo Schermistico Aretino è, per adesso, più semplice. Un corso di scherma in carrozzina per principianti che per ripartire ha avuto bisogno di trovare una palestra adeguata e attrezzata per l’occasione, difficoltà che tutti gli sport paralimpici incontrano, a parte il nuoto che si pratica sempre e comunque dentro una piscina e che non ha bisogno di particolari attrezzature: «Viviamo un momento storico e sociale dove si tende sempre di più a sottolineare le differenze tra sé e l’altro. Quando ci vorrebbero inclusione e accoglienza. Negli ultimi cinque anni abbiamo visto fare cose incredibili agli atleti paralimpici, la loro determinazione, la loro tenacia, il loro viaggio verso un traguardo, fosse anche solo quello della partecipazione, ci ha dato risposte importanti. Dal 1960, anno delle prime Paralimpiadi, a oggi di strada ne è stata fatta tanta. Eppure accade, ancora adesso, che a un convegno mi chiedano quali siano i benefici dello sport per la persona con disabilità. Basti pensare al benessere psicofisico che ne ricava, migliora l’umore, aumenta la cassa toracica, migliora la respirazione, è un investimento. Alla fine una persona con disabilità è a carico dello Stato, se sta bene, se migliora, se diventa più autonoma, grazie allo sport, tutta la società ne beneficia, non solo il singolo. Allora, qualche volta, ci dovremmo chiedere se la pubblica amministrazione debba investire nel rifare la facciata di una scuola o piuttosto nell’inclusione sportiva dei ragazzi e delle ragazze con disabilità, perché è così che ci prendiamo cura dei cittadini. Perché tutto questo possa accadere le famiglie devono sapere che esiste lo sport in carrozzina e con la delegata provinciale del CIP, Albiani, stiamo lavorando per presentare nuovi progetti alla città e coinvolgere quante più persone possibili, e non parlo solo di scherma. Cerchiamo di ragionare ad ampio spettro, tenendo in considerazione tanti fattori».
C’è chi ha avuto un incidente, chi una malattia degenerativa, chi altri tipi di patologie. Ognuno con la sua storia. C’è quello che viene da Sansepolcro per allenarsi e c’è quello nato con la spina bifida, la loro voglia di tirare di scherma, di mettersi alla prova è ossigeno puro per gli istruttori e questa interazione dà il senso a un lavoro che lavoro non è, dove non ci sono soldi né gloria, dove c’è solo l’impegno della palestra e le trasferte nel fine settimana che portano via tanto tempo: «La settimana passa in palestra con bambini e ragazzi che hanno esigenze diverse, poi c’è la parte psicologica perché alla prima gara bisogna gestire l’emozione della prima stoccata fuori dalla palestra, fuori dalla comfort zone, gestire l’eventuale delusione. Poi, però, c’è quello che carica la carrozzina in macchina e arriva da solo per gareggiare, conquistando autonomia e indipendenza, ed è già una grande vittoria che non ha niente a che vedere con lo sport ma che arriva grazie allo sport».
Arezzo è una città come tante altre, con varie barriere architettoniche e con alcune cose buone fatte nel tempo: «La casa dei giochi al Parco Pertini è una di queste, giochi inclusivi che permettono al bambino in carrozzina di giocare insieme agli altri. È una goccia nell’oceano, un primo passo, ma quello più importante resta culturale, per cambiare deve mutare il nostro approccio, culturale, alla disabilità. Una cultura che va scardinata da entrambe le parti. Le persone con disabilità, e lo dico con cognizione di causa, devono smettere di pretendere benefici sociali dovuti alla loro condizione, quando non necessari. La mia è una provocazione, ma per uscire da sé stessi serve anche questo, perché solo uscendo da sé stessi poi riescono a fare progressi enormi, nel mio caso iniziando dallo sport. Per la scherma in carrozzina, per esempio, il primo periodo, sperimentale, è senza costi, poi dalla seconda stagione si inizia a pagare la retta e ognuno dà il suo contributo. Ritengo, fermamente, che sia più importante e necessario dare dignità che gratuità, lavoro e opportunità, piuttosto che pietà. La vera integrazione nasce da qui, altrimenti la carità statale umilia e non aiuta a emanciparsi rispetto alla disabilità. Ma per fare tutto questo serve una vera rivoluzione culturale, da parte di tutti. Ovviamente, come Circolo Schermistico Aretino, facciamo il massimo per supportare i nostri atleti dal punto di vista economico. Considerando anche il periodo che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, periodo che ha messo a dura prova la sopravvivenza di tante società sportive, un vero presidio sociale sul territorio».
Adesso, per Edoardo, è venuto il momento di rischiare e di ripartire, nel rispetto delle norme anti-Covid, con la scherma in carrozzina: «Dovevamo trovare la quadra, tra numero di partecipanti e spazi, e la soluzione è finalmente arrivata con la possibilità di utilizzare la palestra Mecenate, perché quelle della Pio Borri e di piazza San Giusto non erano adeguate. Durante la pandemia abbiamo tenuto i contatti con Zoom, la tecnologia ha rappresentato quel filo sottile attraverso il quale tenevamo in piedi le relazioni umane, però lo sport è qualcosa che si fa in presenza, ancora di più per le persone con disabilità e siamo qui con il Green pass rafforzato e tutto il resto».
Edoardo è un educatore e un istruttore insieme e il suo futuro lo vede con queste due facce della stessa medaglia: «Pensando ai prossimi tre, cinque, anni mi vedo ancora dentro il mondo dello sport e dentro il sociale, sono le mie due anime, inscindibili. Se dovessi pensare più in grande, mi auguro che il cambiamento culturale di cui abbiamo parlato sia diventato realtà e magari ritrovarsi a questo stesso tavolino per parlarne. Le Paralimpiadi? Portare i nostri schermitori in carrozzina a gareggiare in trasferta sarebbe già un sogno che si avvera».