«L’America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata / L’America era il mondo sognante e misterioso di Paperino / L’America era allora per me provincia dolce, mondo di pace / Perduto paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta». Così cantava Francesco Guccini nel 1978 nell’omonimo album «Amerigo» e chissà se Eleonora Magnanelli l’ha mai canticchiata in questi anni vissuti tra Hoboken, New Jersey, e Astoria, Queens; dalla città dove c’è una nutrita comunità molfettese al quartiere che ha dato i natali alla leggenda di Spider Man, con New York sullo sfondo, da sempre. Classe ’88, due genitori, un fratello maggiore, fiorentina di nascita e casentinese d’adozione: «Ci sono capitata grazie alla mia migliore amica, che proviene da una famiglia storica di Bibbiena. Per anni c’ho passato tutti i fine settimana, scappando dalla città e venendo accolta da una comunità meravigliosa, tra Sarna e il Corsalone, che adesso fa parte di me e della mia vita. Un giorno mi piacerebbe scrivere pure del Casentino».
La scrittura nel sangue, gli Stati Uniti nel cuore, un diploma classico, di cui s’è pentita, alle spalle: «Mi sono iscritta a Scienze politiche, indirizzo giornalismo, poi ho fatto la specialistica a Parma in Comunicazione e cultura editoriale. Per il mio tirocinio curriculare ho scelto CasentinoPiù, trimestrale che racconta la vallata, prima come collaboratrice, poi come vice direttrice. E a ventotto anni ho deciso di andare negli Stati Uniti, il mio pensiero fisso, ma se tornassi indietro ci andrei subito dopo la triennale. Non vedo i miei da due anni causa Covid-19 e causa le regole migratorie di questo Paese. Trump alla fine del suo mandato, per pochi giorni, aveva tolto il travel ban ma Biden l’ha subito ripristinato, mettendo in difficoltà molti connazionali. In realtà hanno utilizzato i problemi causati dalla pandemia per dare una stretta sui nuovi visti e sui rinnovi», un problema serio per chi vuole costruirsi un futuro negli Stati Uniti.
In questi quattro, quasi cinque, anni Eleonora si è data da fare scrivendo, tra gli altri, per Corriere della Sera, la Repubblica e collaborando come producer per la Rai, sia per le presidenziali che per l’anniversario dell’11 settembre, collaborazioni difficili da mantenere ma che l’hanno calata perfettamente nella realtà statunitense nella quale si è costruita la sua rete di relazioni e amicizie, tanto da avere la ‘sua’ famiglia americana; come era accaduto in Casentino: accogli e sarai accolto. La sua è una visione privilegiata su un periodo storico che sarà ricordato a lungo, da Trump a Biden con in mezzo la pandemia, che è ancora fottutamente presente: «Donald Trump è molto amato o molto odiato. Nella mia famiglia americana, per l’appunto, la madre, repubblicana, è pro Trump, mentre le figlie, democratiche, sono contro e il giorno del Ringraziamento la tavolata era divisa. Con Trump l’economia andava bene e, su certi temi, era apprezzato anche da una parte dei democratici. Se non fosse stato per la pandemia e per le proteste Biden, forse, non avrebbe vinto le elezioni. Voglio essere più chiara, Trump è lontano anni luce dal mio modo di vedere, ma se potessi votare qui e ci fosse un candidato repubblicano più serio e preparato di quello democratico non vedo perché non potrebbe avere la mia preferenza; in America molte volte si vota l’idea non la persona. Qui sono in molti a rimproverargli, soprattutto, il modo di comunicare e le sue uscite infelici su immigrati e donne, altrimenti non lo vedrebbero poi così male. Per capirne di più basterebbe leggere i racconti di Francesco Costa, vice direttore de ilpost.it. Per comprendere cosa abbia voluto dire il primo presidente populista nella storia degli Stati Uniti, considerato anti casta: uno che scende a bordo di un ascensore d’orato. Certo l’assalto al Campidoglio, con gli inquirenti ancora al lavoro, non è stata una cosa da poco. L’assalto al cuore della democrazia americana è una ferita profonda, soprattutto all’interno del partito repubblicano, senza contare le fake news sul riconteggio dei voti, ma i trumpiani ortodossi rivogliono Donald candidato per il 2024». Poi è arrivato Joe Biden: «Per molti è stato un sospiro di sollievo, soprattutto in chiave anti Covid-19. L’adulto che rimette a posto le cose dopo i danni fatti dal bambino scapestrato, ma nemmeno lui è riuscito a fare miracoli. Trump, tra le altre cose, aveva criticato il governatore Andrew Cuomo per la gestione della pandemia a New York, tra mascherine e lockdown, mentre altri stati facevano diversamente, avendo spazi differenti. È stato, infine, sottovalutato il voto per posta, perché molti democratici hanno preferito questo sistema a quello in presenza, sempre per il Covid-19, e alla fine hanno fatto la differenza».
Dentro tutto questo e la vita newyorkese di Eleonora è arrivata una di quelle occasioni che non si possono rifiutare. L’editore Castelvecchi le ha chiesto di scrivere un instant book digitale sul movimento Black Lives Matter, dall’omonimo titolo: «L’ho scritto in una settimana, raccontando quello che stava accadendo davanti ai miei occhi; queste tematiche mi sono care da sempre quindi non ho avuto difficoltà. Col passare del tempo, insieme con l’editore, abbiamo deciso di fare una versione cartacea aggiornata e approfondita, qualcosa che potesse far capire al pubblico italiano quello che stava accadendo. Parlando con molte persone ho compreso che c’è chi non ne vuole più sentire parlare, chi l’ha visto come un movimento, chi come una protesta. In realtà, io credo, che racchiuda la storia dei neri d’America che sono passati da I have a dream al Black Lives Matter, in un continuo non solo spazio temporale ma anche, soprattutto, civile. E allora dobbiamo chiederci cosa c’è di diverso in quello che è accaduto ultimamente. Di diverso c’è un video di nove minuti, in cui si vede un poliziotto bianco, Derek Chavez, tenere il ginocchio sul collo di un nero, George Floyd, e guardare dritto in faccia le persone che lo implorano di smettere, che non sta respirando, che gli sta uscendo qualcosa dal naso. Di morti simili negli Stati Uniti ce ne sono state e ce ne sono, ma quel video (che ha vinto il Pulitzer, ndr) ha cambiato tutto, portando per strada milioni di statunitensi. Questa situazione ha polarizzato ancora di più la campagna elettorale dato che i trampiani sono, a prescindere, dalla parte delle forze dell’ordine, law and order, prendendo a giustificazione delle proprie idee i momenti in cui la protesta si è esacerbata, soprattutto di notte quando ci sono stati incendi di interi quartieri. Io non giustifico la violenza, però sappiamo che c’erano degli infiltrati con il solo obiettivo di mettere in cattiva luce i protestanti pacifici, la stragrande maggioranza. Poi bisognerebbe vivergli accanto per capire meglio, per capire come sono considerati, e cosa devono subire tutti i giorni, i neri negli Stati Uniti». Ma non solo. Il movimento Black Lives Matter ha scosso anche l’Europa che da sempre si considera accogliente e per niente razzista, ce lo racconta benissimo Eleonora: «La prima volta è stata quando ho visto e sentito il sospetto e il disgusto con cui spesso si parla degli immigrati neri in Italia. La seconda quando ho parlato con un giornalista nero del New York Times che era in procinto di andare in Italia per un viaggio di piacere. Quando gli ho poi chiesto com’era andata, mi ha risposto: “Mamma mia, siete proprio razzisti”. Il combinato disposto di stanchezza, frustrazione e rabbia, dovute pure alla pandemia, ha creato una protesta senza precedenti, almeno non negli ultimi vent’anni. Ed è stata un ottimo propellente per la vittoria di Joe Biden».
Un libro per niente banale quello di Eleonora Magnanelli che ci racconta un’America lontana anni luce dal «mondo sognante e misterioso di Paperino», che ci srotola un 2020 nel quale è nata una nuova nazione, con la consapevolezza che c’è stata una frattura irreversibile tra quello che gli Stati Uniti erano, anche nell’immaginario collettivo, e quello che sono: «Vorrei che dietro quella scritta, quel motto, quel mantra si capisse cosa vogliono i neri in questo Paese: vivere. Vogliono che la loro vita conti come la nostra. Vorrei che questo libro restasse come testimonianza di tutto ciò. In questi ultimi due anni ho visto una New York e, soprattutto, Washington come mai prima: non potrò mai dimenticare il filo spinato e i militari per le strade della capitale degli Stati Uniti. E al tempo stesso vorrei poter pensare di avere fatto qualcosa anch’io, una goccia nell’oceano, per la comunità nera d’America, per chi ogni giorno è giudicato solo per il colore della propria pelle».
C’è un altro aspetto culturale molto interessante che, attraverso Eleonora, ci racconta quelle stelle e quelle strisce che spesso restano nascoste: «Il Covid-19 ha diviso questa nazione, ma nella mia bolla questa divisione non c’è. Cioè ho amici repubblicani che la pensano diversamente da me, ma siamo d’accordo a essere in disaccordo restando amici. A New York eravamo in lockdown a Miami no, qui utilizziamo il Green Pass in Florida no. In Ohio ho conosciuto un veterano repubblicano, insieme con un mio amico che lo doveva intervistare. Ci ha chiesto di togliere la mascherina perché lui non la portava, gli abbiamo risposto che a noi andava bene così e abbiamo proseguito l’incontro. Ho un altro amico che mi manda in continuazione video per dimostrare le sue tesi e io rispondo con le mie. Il segreto? Il rispetto».
Da uno studio di Arezzo a un salotto di Astoria (Queens) Meet ci regala un’oretta di intimità e allora è giusto chiedersi e chiedere a Eleonora se quello che ha fatto negli Stati Uniti in questi anni incredibili avrebbe potuto farlo in Italia: «Capiamoci, qui le cose funzionano se hai un visto buono, se ti sposi o arrivi grazie a un’azienda italiana, sapendo parlare bene la lingua, altrimenti è tutto più difficile. Detto questo a ventitré, ventiquattro anni, si può già essere a capo di un’azienda, certo ci sono i debiti scolastici, ma si entra prima nel mondo del lavoro, si cambia con più facilità e solo per guadagnare di più. Negli Stati Uniti il giovane, la giovane, è un asset, una risorsa, in Italia? “Non hai esperienza, torna un’altra volta”. Conta l’idea non chi sei o chi conosci, certo non sarà un mondo perfetto ma la meritocrazia ha un senso concreto. Se io avessi un’idea per uno scoop potrei presentarmi serenamente al New York Times e non mi chiederebbero di chi sono amica. Credo che la trasmissione Shark Tank esprima perfettamente tutto questo. Uno dei miei amici più cari qui viene da Fermo, ha studiato negli Stati Uniti e ci è rimasto facendo la gavetta fino ad arrivare a coprire come inviato la Casa Bianca e il Congresso per l’edizione spagnola di Voice of America; in Italia non sarebbe accaduto».
Casentino e New York continuano e continueranno a essere due mondi distanti, separati, per certi versi distopici se messi uno di fianco all’altro, eppure Eleonora continua a desiderare entrambi: «La Toscana e il Casentino sono unici e non vorrei perdere quello stile di vita. La mia adesso è un’esistenza divisa, lì ho lasciato la famiglia e gli amici più cari, ma New York è il presente. Gli Stati Uniti sono una contraddizione continua, però io adoro il loro approccio genuino e onesto e non è vero che i newyorkesi sono antipatici, anzi. Si trova sempre il modo di comunicare, pure con gli sconosciuti. Molto più che in Italia se è per questo. Credo di avere preso il loro modo di vivere, inoltre qui c’è sempre qualcosa di nuovo da fare o da vedere e questo per il mio carattere è ossigeno puro. Vorrei poter raccontare tutto questo ma devo fare passare del tempo e tenere la giusta distanza per scriverlo come si deve. Non ho viaggiato per gli Stati Uniti in lungo e in largo ma conosco la società americana e credo che questo potrebbe interessare il pubblico italiano. Comunque la mia generazione con le cose fisse non riesce a fare pace, meglio seguire il flow (flusso, ndr) e vedere quello che accade. Il sogno? Lavorare per i media americani. Non credo che vivrò qui per sempre, però, adesso, è il mio mondo. Lo è diventato. In fondo ci piacciamo da sempre».