Ex calciatore di talento con un sinistro micidiale, 45 anni compiuti a gennaio, ha appena vinto il campionato alla guida dell’Acf Arezzo. Tutti gli dicono che la panchina è il suo habitat naturale ma lui deve ancora capire cosa fare da grande: “Per adesso mi godo la promozione. Alla squadra ho portato mentalità vincente e dalle ragazze ho preso il loro entusiasmo contagioso. Il domani lo deciderò con il presidente Anselmi”
Da giocatore aveva un sinistro micidiale. Calciava forte, secco e preciso, faceva gol anche se disegnare assist gli piaceva di più. Emiliano Testini, 45 anni compiuti a gennaio, ha vissuto la sua carriera con un grande alleato di fianco: il talento. Secondo molti, e anche secondo lui, non ha saputo attingervi fino in fondo e questo gli ha impedito di spaccare veramente, di sfondare il muro della serie A, dove ha messo piede soltanto una volta quand’era un ragazzino, con la maglia del Perugia. Il rimpianto, però, non fa parte del suo dna. E poi i guizzi ficcanti, la duttilità che gli consentiva di giocare da laterale nel 442, da sottopunta nel 4231 e da attaccante esterno nel 433, gli hanno regalato diverse soddisfazioni. Campione d’Italia con la primavera del Perugia, una promozione a Viterbo, tre anni ad Arezzo, tre all’Albinoleffe, cinque a Trieste, un “triplete” a La Spezia. Tanta serie B e serie C in piazze importanti, esigenti, dove gli hanno voluto bene. Oggi che fa l’allenatore, tutti gli dicono che la panchina è il suo habitat naturale e lui, invece, storce il naso perché la strada da percorrere non l’ha ancora messa a fuoco.
Chi ti conosce, ti racconta come una persona molto sensibile. E’ così?
Più che nel calcio, me la riconosco nella vita la sensibilità. E poi la porto nel lavoro.
Sensibilità cosa significa? Capacità di entrare in empatia con le persone o anche fragilità?
Significa soffrire dentro e non farlo vedere fuori. Ad Arezzo, dal 2018 al 2020, ho fatto il direttore sportivo, non mi sono mai preso né la vetrina né meriti particolari. Me ne sono andato in silenzio e senza polemiche. Però è stata dura. Non so se sono bravo o no, di sicuro sono leale.
Hai appena vinto il campionato con l’Acf Arezzo. E le tue calciatrici ti hanno sempre riconosciuto coerenza e trasparenza. Non è il complimento più bello per un allenatore?
Lo è. Con le donne ci sono linee sottilissime nei rapporti che non vanno oltrepassate. Con gli uomini ci si può consentire un po’ di superficialità in più. Le ragazze assorbono tutto, pesano ogni parola e non dimenticano. Se non sei coerente è la fine.
Domenica scorsa a Perugia avete conquistato la promozione matematica. Oggi cosa c’è dentro di te: soddisfazione, senso di rivalsa, emozione o quella sensazione di scarico che si prova dopo le grandi imprese?
Esatto, c’è proprio il calo di tensione. Ho vissuto quest’annata serenamente ma avvertivo il peso delle responsabilità. Era una sfida grande per me, in un ambiente nuovo e con l’obiettivo di vincere. Per fortuna è andata bene.
Eppure con il presidente Massimo Anselmi hai un rapporto di amicizia da anni.
Proprio per questo. C’è stima tra noi ma avvertivo l’obbligo di non deluderlo. I rapporti personali, se le cose fossero andate male, avrebbero pure potuto incrinarsi. Non è successo.
Cos’è che ti spaventava di più all’inizio, nonostante tu abbia alle spalle circa 500 partite da professionista?
Non avevo punti di riferimento nella gestione di uno spogliatoio femminile. Né avevo mai vissuto le dinamiche dei dilettanti. Le ragazze lavorano, studiano, si allenano la sera anche d’inverno, con il freddo e l’oscurità. Cosa avrei dovuto dire loro? E come? Con quale tono? Adesso siamo in B e sembra tutto facile ma io avevo molto da perdere e poco da guadagnare.
Però hai accettato lo stesso l’incarico.
Sì, perché intravedevo la possibilità di raggiungere l’obiettivo.
Dove l’avete vinto questo campionato?
In casa con il Pavia, all’inizio di marzo. All’intervallo eravamo sotto 2-1, la squadra era sfiduciata. Invece la ribaltammo e vincemmo 3-2. “Ci credevi solo tu, mister” mi dissero le ragazze alla fine.
Un altro snodo cruciale?
La trasferta di Pinerolo ad aprile, lo scontro diretto. Vinto quello, abbiamo preso il largo.
Come definiresti il rapporto che hai avuto con la squadra?
Sincero. Non potevo gestire, il mio livello di attenzione doveva sempre restare al massimo. Se calavo io, venivano giù anche le ragazze. In alcuni momenti ho tenuto il muso a tutte, in altri ho fatto capire che non avevo voglia di parlare. Però, di base, c’è stata tranquillità, rispetto, fiducia.
Quanto c’è di tuo in questa promozione?
Senza presunzione, credo di aver portato un certo tipo di mentalità: l’attenzione ai dettagli, per esempio. E sul campo abbiamo lavorato tanto per far emergere i pregi e nascondere i difetti. L’Acf ha vinto perché è stata una squadra.
Cosa ti porterai dentro di quest’annata?
Un entusiasmo che avevo perso per strada e che ho ritrovato. Molte delle calciatrici devono conciliare lo sport con le priorità della loro vita personale, alcune vengono da fuori Arezzo, hanno dimostrato uno spirito e una perseveranza encomiabili. Mi è piaciuto un sacco questo atteggiamento, mi sono sentito come quando ero un ragazzo del paesino e sognavo dietro al pallone.
Ce l’avranno un difetto queste ragazze o no?
Sono permalose da morire!
Hai avuto tanti allenatori in carriera. Ora che stai seduto in panchina, c’è qualche insegnamento che hai messo a frutto?
Io ho apprezzato gli allenatori che mi davano qualcosa sul piano umano più che tecnico e tattico, quelli che sapevano prendermi, che mi entravano in testa. In campo si gioca con le emozioni più che con le gambe.
Nomi?
Enzo Ferrari, che ho avuto ad Arezzo e Trieste. E anche Elio Gustinetti.
Oggi ti senti un ex calciatore, un allenatore a tutti gli effetti, un direttore sportivo, un talent scout? Spiega un po’.
La testa del calciatore non ce l’ho più, quell’interruttore l’ho spento. A La Spezia avevo iniziato da direttore insieme a Pino Vitale, che poi però ha mollato all’improvviso. Credo di avere occhio per riconoscere giocatori di prospettiva e senso di responsabilità per fare il dirigente, però non ho ancora le idee chiare sinceramente.
Quindi non sai se continuerai ad allenare?
Mancano ancora tre giornate alla fine del campionato. Voglio chiudere senza sconfitte, togliermi qualche altra soddisfazione insieme allo staff e alla squadra. Poi mi metterò a un tavolo con il presidente Anselmi, mi aiuterà a capire cosa voglio fare da grande.