Un anno in Antartide. A 15mila chilometri da casa, Ortignano, a 3.323 metri di altitudine e 1.200 chilometri dalla costa. Lì, nel nulla, circondata solo dal ghiaccio, in mezzo al niente, Giuditta Celli, laureata in Scienze chimiche, ha vissuto l’esperienza lavorativa più importante della sua giovane vita. Qualcosa che avrebbe voluto rifare subito, ma la pandemia si è messa di mezzo e adesso si occupa di ambiente, passione nella passione, facendo la volontaria per Change For Planet, content writer per la precisione: «Sono passata da un confinamento scelto e affascinante a uno obbligato che, al momento, ha rimandato i miei piani per il futuro. Nel frattempo? Mi sfogo camminando nei boschi intorno casa». Nata, nel 1992, e cresciuta in Casentino ha studiato al liceo scientifico di Poppi: «Fin da piccola leggere e studiare erano le mie attività preferite, poi a scuola ho capito che le materie umanistiche non facevano per me e dovendo scegliere tra quelle scientifiche sono andata per esclusione: no matematica, no fisica, sì chimica». E così Giuditta si è laureata frequentando la triennale a Pisa e la specialistica a Firenze, senza un’idea precisa di cosa avrebbe fatto dopo: «Ho finito nel dicembre del 2016 e ho attraversato la classica crisi del neo laureato, il passaggio tra università e mondo del lavoro. La prima ti prepara a fare ricerca, ma non ad andare in un’azienda, dove dovresti conoscere tutta la parte legislativa, quella che non studiamo. Allora inizi ad accettare vari lavori, ma 500 euro il mese per 6 mesi non è gavetta, è altro, e non ci paghi un affitto, ma neanche con 900 euro. Poi io sono una donna e ho dovuto affrontare colloqui nei quali mi si chiedeva se volevo avere dei figli et similia, roba al limite della legalità che al solo pensiero mi fa infuriare».
Giuditta è passata da stage sottopagati a un’azienda che produce marmellate, in giro per la Toscana, per ritrovarsi a fare la cameriera: «Almeno avevo uno stipendio normale. Il problema non è lavorare 10 ore al giorno per 800 euro il mese, come ho fatto, è proprio l’ambiente: sei giovane, non puoi avere idee migliori dei capi per definizione, conta solo l’apparenza e non la competenza». A quel punto era determinata a lasciare l’Italia e trasferirsi in Inghilterra, ma il destino ha deciso diversamente: «È uscito un bando dell’università di Firenze che cercava un/una laureato/a in Scienze chimiche per passare un anno in Antartide, nella stazione italiana Concordia gestita in collaborazione con la Francia, grazie ai rispettivi istituti PNRA e IPEV. Così ho affrontato la selezione». Il viaggio è iniziato a Firenze per il colloquio con la responsabile delle ricerche dell’università, poi ai centri militari di Roma dove si svolgono le visite mediche, infine due settimane di formazione con ENEA-UTA, gli istituti italiani che si occupano delle spedizioni in Antartide, imparando i rudimenti di primo soccorso, antincendio, come steccare una gamba e trasportare un ferito, per sopravvivere in condizioni estreme: «È stato bellissimo – ricorda Giuditta –, soprattutto la secondo settimana in Valle d’Aosta. Qui abbiamo dormito sotto il Dente del Gigante, Monte Bianco, a quasi 4mila metri di altitudine per ambientarsi al freddo e testare la nostra tenuta psicologica, pure nella convivenza con persone che non conosci. L’unico problema è che soffro di vertigini, quindi l’arrampicata è stata un incubo, era solo una prova di fiducia ma ho avuto paura lo stesso. In questo tipo di spedizioni le donne non sono tante, nella stazione inglese si candidano pure per la figura di meccanico e per quella di informatico. In Italia, invece, per quelle posizioni generalmente le donne non si candidano, oltre al fatto che non sono pubblicizzate bene. Quello che, però, ho potuto constatare nella spedizione è che il nostro genere è rappresentano e con grande merito».
Novembre 2018, la pandemia non è nemmeno un’opzione, Giuditta parte per l’Antartide: «Lo scopo è studiare lo scambio del particolato atmosferico tra l’aria e la neve attraverso campioni superficiali. Andando in profondità riusciamo a studiare la composizione atmosferica di migliaia di anni fa e, nel contempo, valutiamo la situazione del cambiamento climatico attuale. Da novembre ai primi di febbraio lì è estate, quindi nella stazione eravamo circa 80 persone, tra italiani e francesi, anche perché in questo tipo di studi si tende a fare grandi collaborazioni internazionali. Quello è il periodo della manutenzione, se qualcosa si è rotto e se ci sono cose da sistemare prima dell’arrivo dell’inverno polare. Da febbraio in poi siamo rimasti in 13, tra cui il medico, il cuoco, l’elettricista, l’idraulico e il meccanico, figure fondamentali per mantenerci caldi e vivi. Il resto fa parte della spedizione scientifica». Un’avventura professionale e umana che ha lasciato un segno profondo in Giuditta, l’unica volta in ventinove anni che si è sentita centrata, donna giusta al posto giusto: «Il momento peggiore, fisicamente, è stato quando mi sono trattenuta troppo all’esterno per finire un lavoro di precisione. Raccoglievo dei campioni, così mi ero tolta tre dei quattro paia di guanti che avevo a -70/80°. Quando sono rientrata non sentivo più il mignolo, era diventato completamente bianco, quando piano piano si è riscaldato e il sangue ha iniziato a circolare nuovamente ho sentito un dolore tremendo e ho pianto. Dal punto di vista emotivo, invece, il momento peggiore è stato quando ho lasciato la stazione Concordia». A settembre dello scorso anno Giuditta sarebbe dovuta ripartire con gli inglesi, ma la Brexit e il Covid-19 hanno mandato all’aria i suoi progetti.
Il Casentino a Giuditta sta stretto, ma è pur sempre la sua terra, lì ci sono le sue radici e, forse, sempre lì sono nati l’amore e l’attenzione per l’ambiente. Ma il suo sguardo è molto più ampio e scavalca quelle montagne, sognando di lasciarle per sempre: «I miei studi, l’anno che ho passato in Antartide, avere vissuto in mezzo alla natura. Credo che tutte queste cose insieme abbiano fatto crescere l’ambientalista che è in me, un ambientalismo vero. Uso sciampo e dentifricio solidi per evitare sprechi. Non compro mai vestiti in eccesso e ho sempre i soliti tre jeans, infine grazie a mio padre, che fa l’orto, posso mangiare prodotti a chilometro zero e generalmente non mangio carne, ma quando lo faccio mi assicuro che non provenga da allevamenti intensivi. Ricordo ancora quando ho fatto una presentazione del mio lavoro in Casentino, tra il pubblico c’era un signore anziano accanto a un mio amico che ha detto: “A me queste cose non interessano, tanto tra dieci anni sarò già morto”. Questa è la mentalità che va sradicata a tutte le età e in tutte le generazioni, altrimenti sarà difficile salvare questo pianeta». Un ambientalismo che l’ha portata, in questo momento di fermo obbligato, un po’ per tutti, ad aderire a Change For Planet come content writer: «Siamo nati da poco e ci occupiamo di sensibilizzare le comunità sulla salvaguardia dell’ambiente. Cerchiamo di reperire fondi e collaborazioni, organizzando incontri su tematiche ambientali e biosostenibilità, insieme con clean up al mare o in campagna, per raccogliere la spazzatura abbandonata. A Firenze, in zona Gavinana, su un terreno inutilizzato gestiamo un orto sociale, chiunque ci può contattare e dare una mano con varie turnazioni; è un modo anche per portare un po’ di buone abitudini. Io mi occupo, fondamentalmente, di scrivere articoli e contenuti per il nostro sito».
E se, in tempo di pandemia, abbiamo imparato a fare i conti con i no vax e i negazionisti, chi si occupa di ambiente deve fronteggiare i negazionisti dei cambiamenti climatici da anni: «Ricordo un commento a un articolo della rivista Focus al rischio dello scioglimento dei ghiacciai, che se si dovesse avverare come minimo mangerebbe tutte le coste esistenti con l’innalzamento del livello dei mari: che era solo terrorismo psicologico, che così vogliamo spingere alla vendita delle auto elettriche e che i ghiacciai si sono sempre sciolti. Ora qui non è questione di essere pro o contro qualcosa, ma di sapere di cosa si sta parlando, avere conoscenze storiche e scientifiche. La terra vive cicli naturali nei quali si sono alternati caldo e glaciazioni, con cicli glaciali e interglaciali, appunto. Questo ha condizionato anche la quantità di anidride carbonica e la sua concentrazione nell’atmosfera. Nel 1950 abbiamo raggiunto il massimo naturale e questo vuol dire che adesso siamo sopra di tantissimo rispetto a quello che dovrebbe essere. E non c’entrano niente le eruzioni vulcaniche, lo spostamento dell’asse della terra rispetto al sole, l’inclinazione dei raggi solari, ecc. Possiamo essere stati soli noi umani, con le nostre attività, a fare innalzare di cosi tanto la concentrazione di anidride carbonica, l’aumento delle temperature e il relativo scioglimento dei ghiacciai. Come la pandemia, basterebbe studiare un poco. Inoltre è già accaduto con l’aviaria, la suina, la mucca pazza, eppure si continua ad allevare gli animali in modi sbagliati, con il rischio che si sviluppino nuovi virus e nuove pandemie. Senza contare l’utilizzo degli antibiotici nell’allevamento, con il grave pericolo che quando ne avremo veramente bisogno questi non saranno più efficaci contro nuovi batteri, che come i virus mutano e diventano resistenti alle medicine attuali. Quello che sta accadendo dovrebbe insegnarci a rispettare maggiormente l’ambiente e a cambiare modo di consumare e consumarlo, ma vedo solo complottisti e negazionisti. Non si rendono conto che se i ghiacciai si scioglieranno in fondo a questi potremmo trovare virus e batteri di 5mila anni fa, conto i quali non abbiamo alcuna difesa. È tutto collegato, basterebbe rispettare la terra e ascoltare chi ha studiato».
È un argomento complesso che Giuditta mastica con grande padronanza e passione: «La plastica è nata per una buona causa, sostituirla all’avorio degli elefanti per costruire palle da biliardo. È nato il plexiglas, le bende sterili contro le infezioni, contenitori più leggeri. Poi sono arrivati i prodotti monouso che rappresentano un vero e proprio cataclisma plastico. Bisognerebbe iniziare a riparare le cose prima di buttarle e imparare a riciclare, anche se non tutta la plastica può essere riciclata all’infinito, senza contare l’importanza della raccolta differenziata. Ma il punto non è solo l’ambiente, è una questione etica che riguarda la sostenibilità delle nostre produzioni a trecentosessanta gradi. Quindi bisogna battersi allo stesso modo contro lo sfruttamento dei lavoratori, il caporalato, ecc. Salvaguardare l’ambiente oggi significa continuare ad avere acqua potabile domani, ma non tutti lo capiscono. È nata l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile e adesso abbiamo il ministero della Transizione ecologica, 2050. Voglio dargli tempo, perché sono cose partite da poco, però, per esperienza, le istituzioni s’impegnano a parole ma poi non seguono i fatti. Inutile fare incontri e farsi pubblicità se non si mettono in pratica azioni concrete. Bisognerebbe iniziare ad accettare la complessità come parte della nostra vita e ascoltare chi ne sa più di noi su argomenti che non conosciamo e che non abbiamo mai studiato. Dati per scontati i gap formativi e l’ignoranza di tante persone, gli scienziati devono iniziare a comunicare meglio, perché non tutti sono Piero Angela, non tutti hanno la capacità di essere altrettanto chiari. Accade poi, in questa confusione informativa, che il dubbio, base del metodo scientifico, diventi quella crepa nella quale si insinuano i negazionisti di qualsiasi cosa. Ci sono pure aspetti psicologici interessanti da studiare. Ho visto il documentario sui terrapiattisti pubblicato da Netflix, al di là dell’argomento in sé ho notato che molti più che credere in quelle teorie si sentono parte di qualcosa. Cioè, si sentono importanti perché non sono soli, magari non credono nemmeno che la Terra sia piatta, ma questo aspetto passa in secondo piano».
Giuditta si riconosce come pregi la meticolosità, l’attenzione e la precisione nel fare le cose, al contempo il difetto di essere una «maestra del controllo», anche se vive momenti diametralmente opposti nei quali vuole finire le cose e come va, va: «Sono una persona attiva, sempre in movimento e questo fermo, l’impossibilità di portare avanti i miei progetti professionali, mi ha fatto male. Sono, al contempo, passionale e focosa perché credo in ciò che faccio e nei temi che difendo, come quello ambientalista. Sono cose importanti e vorrei che pure gli altri lo capissero, così di fronte a chi non vuole o non ce la fa mi sento molto Don Chisciotte; non vorrei perdere la fiducia nel genere umano. Volevo ripartire per l’Antartide ma non l’ho potuto fare e adesso devo capire bene quale sarà il mio futuro. Non mi piace stare in laboratorio o in azienda, la ricerca in Italia è difficile, concorso su concorso, andare all’estero in questo momento è complicato. Aspetto, vedo se si sblocca qualcosa, altrimenti aprirò un nuovo capitolo della mia vita, ricominciando tutto da capo». La famiglia è, comunque, un punto fermo, padre, madre e un fratello che lavora in fabbrica a Bibbiena: «Quando ero in Antartide erano preoccupati, anche perché per arrivarci ho fatto un viaggio lunghissimo fino alla Nuova Zelanda, poi ho preso un aereo militare per arrivare al Polo Sud, infine un aeroplanino per raggiungere la stazione Concordia. Tutto questo d’estate, perché d’inverno gli spostamenti sono di fatto impossibili, a meno di un’emergenza. Un aereo non può atterrare al buio sul ghiaccio, non esistono piste di atterraggio, a meno 80 gradi, non sapendo se incontra un cumulo di neve o altro quando tocca il suolo. Anch’io ero preoccupata che gli potesse accadere qualcosa, perché sarebbe stato difficile poterli raggiungere e ancora non c’era la pandemia». Il 3 gennaio 2020 Giuditta aveva tanti progetti, rivedere gli amici e fare qualche viaggio. Una volta tornata alla civiltà doveva anche riprendersi dal punto di vista psicologico. Sperava di vivere in serenità quei momenti e ripartire con gli inglesi per una nuova avventura in Antartide. Ma il destino del mondo ha mandato tutto all’aria, per lei come per i sette miliardi di abitanti del pianeta. Oggi la potreste incontrare nei boschi di Ortignano e Raggiolo mentre passeggia, si sfoga e sogna le sconfinate distese di ghiaccio che, per la prima volta in vita sua, l’hanno fatta sentire centrata; come se in quel nulla ci fosse il tutto che ognuno di noi cerca, nella vita, nel lavoro, e in tutte e due le cose insieme.