Echi di divinità, antiche battaglie e citazioni dantesche
“Botoli trova poi, venendo giuso, ringhiosi più che non chiede lor possa, e da lor disdegnosa torce il muso”. Chissà quante volte avrete sentito questo verso del XIV canto del Purgatorio, tratto dalla “Divina Commedia” di Dante Alighieri, nel quale il sommo poeta descrive la grande curva dell’Arno, che invece di proseguire il suo corso verso Arezzo volta in direzione del Valdarno, sprezzante nei confronti degli “botoli ringhiosi” aretini.
È lì che sorge Giovi, una delle località più caratteristiche del territorio comunale di Arezzo, che secondo gli studiosi fa riferimento nel nome a un tempio dedicato al dio Giove. Una tradizione lo collega persino a quello citato da Cicerone quando narra della Battaglia del Trasimeno, episodio celebre della Seconda Guerra Punica, combattuta tra Romani e Cartaginesi dal 218 al 202 a.C.
Il console Gaio Flaminio, infatti, doveva essere di passaggio con le sue legioni nella zona nel giugno 217. a.C. Si racconta che, mentre si rivolgeva alla statua di Giove Statore, prima di partire all’inseguimento di Annibale, cadde da cavallo e l’evento fu interpretato come cattivo presagio. Lo scontro sulle rive del lago Trasimeno segnerà, di fatto, una delle sconfitte più pesanti nella storia di Roma.

Da castello strategico a località balneare degli aretini
Tra l’XI e i primi decenni del XII secolo, in posizione strategica sulle scogliere dell’Arno e della Chiassa, sorse il Castello di Giovi, poi ampliato nel XIII secolo, le cui tracce sono visibili in molte abitazioni del nucleo storico della frazione. Quella che oggi è la piazza principale, ai tempi del borgo fortificato era esterna alle mura. A sud il paese termina con una scarpata da cartolina, ricoperta di fichi d’India, che si affaccia dove il torrente Chiassa confluisce nel principale fiume toscano.
Sempre in epoca medievale sorsero mulini ad acqua per la trasformazione delle granaglie e le gualchiere per la lavorazione della lana. Queste attività proseguirono per secoli e con l’arrivo della ferrovia, nel 1888, il trasporto delle merci prodotte venne agevolato.
Nel 1906 i principali mulini e gualchiere furono acquisiti dai fratelli Boschi e trasformati in un complesso per la produzione della carta. La Cartiera di Giovi fu un fiore all’occhiello della neonata industria aretina e ancora oggi, nonostante la chiusura definitiva del 1983, si impone con la sua mole lungo la suggestiva discesa che porta sulle rive dell’Arno, frequentate fino a pochi decenni fa dagli aretini per sfuggire alla calura estiva, quando i bagni al mare erano un privilegio per pochi.
Ad allietare il palato degli avventori della zona ci pensavano invece le trattorie, tutte rinomate per la cucina tradizionale o legata al pesce d’acqua dolce. Piatto principe era l’anguilla alla “giovese”, apprezzata anche da grandi poeti come Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio.

La chiesa di Santa Maria Assunta, sentinella preziosa di Giovi
Arrivati nel cuore del paese, l’elemento che cattura subito l’attenzione è la chiesa di Santa Maria Assunta, che in origine era l’oratorio del castello, a cui si accedeva subito dopo essere entrati dalla porta principale del fortilizio, oggi conosciuta come la Portaccia.
Il primo oratorio era più piccolo e si trovava a un livello inferiore. Fu grazie ai lavori di ampliamento trecenteschi che l’edificio sacro venne realizzato a un piano superiore, sfruttando parte delle fortificazioni. Era disposto a est e così rimase fino al 1507, quando terminarono i lavori che ne invertirono l’orientamento.
Agli inizi del Seicento Santa Maria Assunta acquisì il titolo di chiesa battesimale dalla vetusta pieve di Santo Stefano alla Chiassa, da cui proviene l’acquasantiera ricavata da un capitello dell’VIII/IX secolo visibile all’entrata.
Tra il 1906 e il 1920 l’edificio fu al centro di una profonda trasformazione su progetto di Pilade Ghiandai. La chiesa a croce latina, grazie al suo stile neogotico, andava a integrarsi armoniosamente con i resti del castello medievale.
Il 15 agosto 1920, giorno dell’Assunzione, la nuova pieve venne consacrata. Nel 1925 la caratteristica torre campanaria con merlatura alla guelfa fu dotata di orologio, ma durante la Seconda Guerra Mondiale la parte apicale del campanile venne rovinata. La ricostruzione al termine del conflitto restituì ai giovesi uno dei simboli più cari, che ancora oggi spicca, con fierezza, sullo skyline del paese.