«Fatto salvo quanto previsto alla lettera e), in ordine agli eventi e alle competizioni sportive di interesse nazionale, lo svolgimento degli sport di contatto, come individuati con provvedimento del ministero per le Politiche giovanili e lo sport, è sospeso; sono altresì sospese l’attività sportiva dilettantistica di base, le scuole e l’attività formativa di avviamento relative agli sport di contatto nonché tutte le gare, le competizioni e le attività connesse agli sport di contatto, anche se aventi carattere ludico-amatoriale». Con queste parole la presidenza del Consiglio italiana nel Dpcm del 14 gennaio scorso, al paragrafo g, del comma 10, dell’articolo 1, Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, archiviava a tempo indeterminato il calcio dilettante e tutto lo sport di base, e amatoriale.
Restando al calcio, che è il focus di questo articolo, stiamo parlando di circa 1.300.000 tesserati in tutto il Paese, 1.800.000 se consideriamo anche dirigenti e volontari (non vi dimenticate questa parola!). Diciamo subito alcune cose importanti. La prima è che il calcio dilettante, così come lo sport di base, in Italia è in crisi da anni e per crisi intendiamo quella economica, che poi a cascata diventa di strutture e di proposte, nonostante la sua importanza sociale; basti pensare a tutte quelle ragazze e a tutti quei ragazzi che praticano sport, a livello agonistico e amatoriale, ma non solo. I paesi di provincia che vivono e palpitano per una squadra, qualunque sia lo sport praticato, con tutto ciò che ne consegue a livello di comunità. Aspetti che quasi mai vengono presi in considerazione da chi deve decidere, pandemia di Covid-19 a parte. Poiché è evidente a tutti che si debba cercare di evitare e di evitare di creare situazioni che possano creare focolai e il conseguente aumento di persone contagiate. Come vediamo in questi giorni, poi, il mancato rispetto delle regole ha conseguenze nefaste sulle nostre vite e, in modo particolare, sull’economia e la sopravvivenza delle attività più esposte; responsabilità personali più che collettive, dietro le quali è più facile nascondersi.
Sponsor, biglietti, sagre e feste paesane, tornei (che possono fruttare da 25 a 30mila euro l’uno, tra iscrizioni, pubblico e catering), settore giovanile e tesseramento. Queste sono le voci di entrata di ogni club o, meglio dire, lo erano fino a circa un anno fa. I primi scarseggiavano già prima della pandemia, l’assenza di pubblico e l’impossibilità di organizzare eventi poi hanno azzerato le entrate del calcio dilettante, movimento che si è interrogato e s’interroga sul da farsi. La decisione presa il 5 febbraio scorso dal consiglio direttivo della LND è stata: ripresa dei campionati d’Eccellenza e dei campionati regionali di vertice, compreso il calcio femminile e il calcio a 5, sia maschile che femminile. Con un protocollo sanitario ad hoc da sottoporre alla Figc e la richiesta di un contributo straordinario da parte della stessa per garantire l’effettuazione dei tamponi e la sanificazione degli ambienti. Insieme a questo la deroga per il format dei campionati, per non dare luogo a retrocessioni o squalifiche per chi deciderà di non ripartire: «Per fare questo – dichiara Mario Tralci, consigliere regionale Figc, responsabile e capo delegazione delle rappresentative regionali toscane, fresco di rielezione – si deve modificare l’articolo 49 del NOIF (Ordinamento dei Campionati, ndr). Ci sono già 5 squadre toscane che hanno fatto richiesta di non ripartire per oggettive difficoltà economiche. Tutto dipende dalle elezioni Figc del prossimo 22 febbraio. Se dovessero dire no a queste richieste allora si chiude la stagione e si pensa alla prossima, a partire dal 1° luglio». In Italia si sono perse circa il 30% delle società dilettanti durante il primo anno di pandemia: «In Toscana, invece, siamo in controtendenza – sostiene Tralci –, non abbiamo perso niente e ci sono società nuove, con tanta voglia di ripartire». Dalla Promozione alla Terza Categoria, campionati giovanili compresi, si deciderà dopo il 5 marzo con il nuovo Dpcm del nuovo governo. Governo che è passato da avere un ministro dello Sport, il quale alla fine del suo mandato ha dichiarato «Non conoscevo lo sport», a non averlo per niente; ancora non sappiamo a chi andrà la delega. E non sappiamo quale delle due sia la cosa migliore.
«È un momento delicato – afferma Gianfranco Petrucci, delegato provinciale Arezzo Figc –. I presidenti hanno responsabilità civili e penali. Cosa li spinge? La passione e il senso di comunità, oltre l’aiuto di tanti volontari. Sono persone che ci mettono del proprio e vorrei ricordare che se si ferma il calcio dilettantistico, prima o poi, si ferma anche quello professionistico. La Toscana, inoltre, per questa sciagurata stagione ha previsto gironi regionali e provinciali da 13 squadre, in modo che se in qualche modo si potesse ripartire riusciremmo a portare a termine i campionati». La Prima e la Seconda categoria, la scorsa stagione, potevano vantare molti derby aretini, rivalità paesane che in genere attirano pubblico e attenzione mediatica. E quello del pubblico è un altro nodo importante: «Nei nostri impianti le tribune sono aperte – ribadisce Petrucci –, quindi ritengo che il pubblico avrebbe potuto esserci senza alcun problema, distanziato e con le mascherine, ma si è deciso diversamente. Ripartire senza pubblico è difficile, significherebbe costringere le società ad affrontare una stagione con spese certe ed entrate quasi nulle» e non è detto che tutte possano accettare e/o affrontare una situazione simile. Poi pensi alla pandemia, al numero dei morti, e tutto il resto passa in secondo piano. Ma è evidente come ogni settore stia affrontando la sua crisi ed è complicato, se non impossibile, prevederne le conseguenze.
Alcune società vorrebbero ripartire, con delle garanzie, altre (come vedremo nella prossima puntata) no. Il calcio dilettante è sport di base e popolare, ogni campanile ha il suo campo sportivo, è lì che i ragazzi e le ragazze iniziano a socializzare e a imparare alcune regole di gruppo e convivenza, e questo vale per tutte le discipline sportive. Socialità, convivenza, fisicità che sono venute a mancare e che, purtroppo, stanno facendo sortire i loro effetti sui più giovani. Inoltre le famiglie sono, giustamente, preoccupate e i pochi allenamenti effettuati, nel rispetto delle norme anti Covid-19, devono fare a meno di spogliatoio e doccia, con il rischio di ammalarsi, un rischio che in questo momento alcuno vuole correre. L’impasse è certa, l’impatto di tutto questo, invece, lo vedremo nei mesi e negli anni futuri, da una parte la tenuta dell’intero movimento, dall’altra il rapporto tra i giovani (le loro famiglie) e lo sport. «È una tragedia – constata Gino Ciofini, presidente uscente della Uisp Arezzo –. Lo sport è un sistema di relazioni e così s’impoverisce il tessuto sociale, sia che si tratti di sport dilettante che di quello amatoriale (il calcio è un fiore all’occhiello della Uisp aretina, per tesserati, qualità e tornei, con pochi eguali in Toscana, ndr). La pratica sportiva non è solo agonismo, è relazione, salute, progetto di vita. In una società moderna e post moderna ci dovrebbe essere la consapevolezza che praticare una disciplina non è un’attività dopolavoristica, ma qualcosa di molto più importante. Per fare questo, però, ci vorrebbe una rivoluzione culturale che questo Paese fatica ad affrontare». Anche qui tutto si è fermato, si gioca per divertirsi e i ragazzi non vogliono e non possono rischiare la quarantena, il lavoro è molto più importante. «Fermando tutto si rischia di lasciare molte ferite in questo tessuto sociale, dalle associazioni che non reggeranno a chi si allontanerà per sempre dallo sport, e non parlo solo dei bambini, visto che nel caso della Uisp le attività rivolte ad adulti e anziani sono molteplici». Ciofini auspica una riforma nazionale della governance sportiva, separando bene lo sport di prestazione da tutto il resto, fondi e ristori compresi. Quando si parla di Uisp Arezzo parliamo di 12.280 tesserati, 5.800 circa legati al calcio con 110 squadre di calcio a 11 suddivise in 8 campionati, una settantina di calcio a 5, un campionato di calcio a 5 femminile, due campionati di calcio a 7 e 62 arbitri.
L’attuale presidente della Uisp aretina è Marisa Vagnetti, dentro l’organizzazione dalla fine degli anni Ottanta: «Siamo pronti a ripartire, ma tutto dipende dall’andamento della pandemia e dall’efficacia dei vaccini. Personalmente mi sento impegnata in una missione: la tutela della salute dei cittadini, come anche quella degli anziani disabili in collaborazione con la Asl. E se questo è il nostro obiettivo è inutile nascondere che in un siffatto momento storico abbiamo il dovere e la responsabilità di fermarci». Nel frattempo si tengono i contatti con le varie società, cercando di supportarle, per quanto possibile, e pensando al futuro, al dopo. E anche l’elezione di una donna è un segnale: «L’ho pensato anch’io. Credo che i tempi fossero propizi e dimostra anche il grado di maturità che c’è dentro l’Uisp. In un momento così delicato si è deciso di dare le chiavi in mano a una donna, forse perché nei momenti difficili riusciamo a dare il meglio». Preoccupato e severo, per il momento che sta attraversando lo sport di base, Giorgio Cerbai, delegato provinciale Coni di Arezzo: «La situazione è complicata, ma s’innesta in una mancanza di cultura dello sport, dalla scuola alla società civile. Insegnando all’università mi sono reso conto che nell’ambito sportivo sono in molti a non avere una cultura e una competenza adeguate. Sia a livello politico che del Coni ci sono lacune imbarazzanti, perché pensare di fare promozione sportiva indipendentemente dall’associazionismo di base significa non avere compreso la realtà del Paese. Allo sport di vertice ci si arriva dal territorio, con tutto il bagaglio educativo e sociale che si è raccolto durante il tragitto. Pensare, quindi, di risolvere il problema con bandi nazionali, quando ci sono società che non hanno nemmeno il computer, è ridicolo, non sanno di cosa parlano. Ho fatto parte della commissione per la riforma Melandri e il Coni locale ha avuto sempre un accesso privilegiato alle realtà territoriali, coinvolgendo gli enti locali. È attraverso questi, che conoscono meglio il tessuto sociale e sportivo, per vicinanza e tradizione, che si devono mettere a disposizioni le risorse economiche, altrimenti è tempo e denaro sprecato. Andremo ai Giochi Olimpici con la bandiera, ma il problema resta e dobbiamo rinforzare il rapporto tra enti locali e associazionismo sportivo. Infine, auguriamoci che i vaccini possano dare una svolta positiva a questa situazione, perché se non ripartiamo, se i giovani non tornano a fare attività sportiva, lo sport di base muore», e non solo quello.
Un campionato di Promozione costa a una società dai 50 ai 60mila euro, di utenze (mediamente, la voce principale di spesa) un club può spendere dai 40 ai 60mila euro, tanto per avere un’idea; con il rischio che alcuni, in grave difficoltà, possano riconsegnare le chiavi degli impianti alle amministrazioni comunali. Secondo una stima sono almeno il 70% i club toscani che preferirebbero non ripartire, vista la situazione. I calciatori che prendono un rimborso spese tengono, giustamente, più alle famiglie e al lavoro e hanno paura di contagiarsi. Inoltre, le società non hanno risorse economiche tali da sostenere la spesa mensile dei tamponi (secondo i protocolli sanitari vigenti), la quale, dati alla mano, sarebbe di più di 1.000 euro il mese: «Le società – ribadisce Tralci – hanno bisogno di sicurezze, economiche e sanitarie, e scendere in campo significa affrontare tutta una serie di criticità. Le soluzioni sul tavolo sono molteplici, vediamo cosa accade con la Figc e dopo il 5 marzo. E rispetto alle ultime decisioni sull’Eccellenza, va sottolineato che Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana non hanno chiesto di giocare, mentre al Sud tutti hanno espresso la volontà di tornare in campo».
E come se non bastasse la pandemia di Covid-19, ci sono altri due argomenti che pesano come un macigno sul calcio dilettante: l’abolizione del vincolo e i contratti di lavoro sportivo. Cosimo Sibilia a questo proposito, intervistato da Tuttosport lo scorso 7 febbraio, ha dichiarato: «In primo luogo va affrontato il tema della Legge sullo Sport. Come Lega Nazionale Dilettanti, abbiamo espresso ferma contrarietà all’abolizione del vincolo sportivo che, così come è stato ipotizzato, rappresenta una grave minaccia per l’attività delle società dilettantistiche che non potrebbero così programmare la partecipazione ai campionati e procedere adeguatamente con la valorizzazione del settore giovanile […] Per i contratti di lavoro sportivo, abbiamo ribadito con forza che la stragrande maggioranza dei club della LND si regge sul volontariato (ricordate la parola? ndr) e che, pertanto, il sistema individuato non sarebbe affatto sostenibile». Anche Gianfranco Petrucci è allineato con le parole del presidente Sibilia: «Una società prende un bambino e lo cresce partendo dalla Scuola Calcio fino agli Juniores e un premio preparazione può essere di 9mila euro se arriva in serie C, di 15-16mila in serie A, soldi importanti per un club dilettante. Azzerare queste entrate sarebbe come una nuova sentenza Bosman, con effetti ancora più deleteri per tutto il movimento». Ancora più duro Mario Tralci: «La contrattualizzazione dei volontari e l’abolizione del vincolo provocherebbero la distruzione del calcio dilettantistico. Chi ha messo questi argomenti nero su bianco non ha mai giocato a calcio e non ha capito di cosa si sta parlando, non è così che si aiuta lo sport, facendo calare dall’alto decisioni di chi non conosce questo mondo, fatto per la maggior parte di volontari, famiglie comprese, quando si tratta dei settori giovanili». Molte società lamentano, inoltre, che troppo spesso ci sono avversari con rimborsi spese tali da creare squilibri decisivi nei rispettivi campionati, perché un conto è un rimborso spese di qualche centinaio di euro, un conto di mille: «Il tetto ai rimborsi spese esiste – conclude Tralci –, è normato e per noi è vangelo, così come il rispetto di tutte le altre regole. Nel calcio dilettante, nello sport di base più in generale, si imparano tante cose frequentandolo sin da piccoli». Un mondo con una zavorra di fragilità economiche, attualmente sospeso, un po’ come tutti noi, a causa della pandemia di Covid-19.
1. continua