L’angolo tra Corso Italia e via Cavour è considerato “l’ombelico di Arezzo”. Gli splendidi palazzi circostanti rappresentano da secoli un crocevia obbligato di genti e commerci. Ed è proprio in questo cantone che Piero della Francesca si prese l’impegno di realizzare uno dei cicli pittorici più belli di sempre: “Le storie della vera croce”
Nella parte alta di Corso Italia, dove le odierne via Cavour e via Mazzini confluiscono nell’antico Borgo Maestro, una piccola lapide degli anni Trenta ricorda che ci troviamo all’altezza del Canto dei Bacci, uno dei fulcri del centro storico.
Il sociologo Luigi Armandi, in una pubblicazione di qualche anno fa, lo definì a pieno titolo “ombelico di Arezzo”.
L’attuale toponomastica della zona è ispirata ai grandi personaggi del Risorgimento italiano ma prima del XIX secolo erano altre le denominazioni che la connotavano.
Nel Tre/Quattrocento, ad esempio, arrivati all’incrocio detto di “Ser Cambio” si poteva andare a destra in direzione di Porta Crucifera passando per la contrada “da Ser Cambio al Canto dei Perini” – in seguito contrada o via “della Madonna di Loreto” – oppure sviare a sinistra per giungere alla piazzetta di San Francesco attraversando la contrada “da Ser Cambio ai Calderai”.
Quest’ultima, nei secoli a seguire, cambiò il nome in “borgo dei Bacci” o “via dei Bacci”, dal nome di una delle più facoltose famiglie aretine del Medioevo. Erano gli stessi che commissionarono gli affreschi per la cappella maggiore della chiesa di San Francesco, iniziati nel 1447 dall’artista fiorentino Bicci di Lorenzo.
La parola “canto” – abbreviazione di “cantone” – sta a indicare l’angolo tra Corso Italia e via Cavour dove si osserva ancora oggi il palazzo di origine trecentesca dei Bacci. Nel 1452, dopo la morte di Bicci di Lorenzo, proprio in questa sede Piero della Francesca stipulò il contratto per la prosecuzione dei dipinti in San Francesco, regalando ad Arezzo e all’umanità “Le storie della Vera Croce”, uno dei cicli pittorici rinascimentali più belli e importanti di sempre.
Da secoli crocevia obbligato di gente e commerci, il canto è scandito, oltre che da Palazzo Bacci, anche da altri tre edifici di importanti famiglie: il dirimpettaio Palazzo de’ Giudici, risistemato nel 1862 dopo i lavori che l’anno precedente avevano portato all’allargamento di via Cavour, Palazzo Berardi sul lato opposto del Corso, appartenuto a ricchi mercanti medievali, e infine l’imponente Palazzo Bostoli, che fu l’abitazione di una delle più potenti famiglie guelfe cittadine.
Su un lato di Palazzo Bostoli, il primo marzo 1857, venne inaugurato un grande esercizio commerciale che comprendeva drogheria, pasticceria, fabbrica di liquori e generi coloniali.
Si chiamava “Konz, Stoppani e C.” – dal 1969 “Giacomo Konz e C.” – ma per gli aretini era semplicemente “Gli Svizzeri”, a rimarcare la provenienza dei proprietari: Giacomo Konz, Enrico Lansel, Gasparo Stoppani e Giacomo Barth.
Un’ultima curiosità legata al Canto dei Bacci: nel 1794 qui e al Canto alla Croce – alla fine dell’odierna via Cavour – vennero posizionati due lampioni a olio. Erano i primi vagiti di un’Arezzo che, seppur ancorata al suo passato, timidamente provava ad affacciarsi alla modernità.