Nel sagrato del duomo di Arezzo una statua ricorda uno dei più grandi granduchi della Toscana
in collaborazione con
Da oltre quattro secoli se ne sta lì, sui gradoni del duomo, a farsi baciare dal sole rivolto verso il Palazzo dei Priori. Il monumento a Ferdinando I de’ Medici, terzo granduca di Toscana, è una delle statue più belle della città e quella che omaggia un sovrano importante nella storia di Arezzo, qui rappresentato fiero e impettito, in veste militare.
Egli nacque nel 1549 A Firenze. Figlio del granduca Cosimo I e di Eleonora di Toledo, agli inizi del 1563 divenne cardinale a soli tredici anni e mezzo, segno che a quei tempi per essere alti prelati non servivano particolari vocazioni. Quando il fratello maggiore Francesco I nel 1587 morì di febbre malarica in circostanze poco chiare – una radicata diceria parla di avvelenamento e indica proprio Ferdinando come il mandante – gli succedette sul trono toscano. Alla fine del 1588 abbandonò il cappello cardinalizio e l’anno successivo sposò Cristina di Lorena, dalla quale ebbe nove figli, tra cui il successore Cosimo II.
Mantenne il potere fino alla morte, avvenuta nel 1609.
Quello di Ferdinando I è ricordato come un ottimo governo. Il granduca si distaccò dal modo dispotico di governare del padre e da quello discutibile del fratello, più incline alla passione per l’alchimia che alla politica. Fu bravo a rimanere in equilibrio tra i grandi potentati europei, rafforzò la rete di banche controllate dai Medici e incoraggiò i traffici commerciali.
Il porto di Livorno divenne uno dei principali scali europei, grazie anche alle leggi dette “livornine” del 1591 e 1593, che garantirono privilegi economici, esenzioni fiscali, libertà di culto e difesa dalla temibile Inquisizione, calamitando mercanti di tutto il mondo, in particolar modo ebrei. Ancora oggi il monumento di Giovanni Bandini e Pietro Tacca a lui dedicato, meglio conosciuto come “I Quattro Mori”, è uno dei simboli della città labronica e ricorda la vittoria della flotta medicea sui corsari barbareschi, ovvero pirati musulmani che imperversavano sulle coste toscane.
I complessi progetti di bonifica sostenuti da Ferdinando I riconvertirono in terre fertili diverse aree insalubri nei territori di Arezzo, Grosseto, Pisa, Pistoia e Siena. Fu proprio lui che dette una svolta verso la bonifica della Val di Chiana, con interventi che andarono avanti anche nei secoli seguenti, concludendosi nel corso dell’Ottocento grazie agli imponenti lavori promossi dai granduchi lorenesi.
Dal punto di vista artistico il sovrano si dimostrò uno straordinario mecenate e arricchì le collezioni della sua casata. Tra le tante cose fondò nel 1588 l’Opificio delle Pietre Dure e favorì l’attività della Camerata de’ Bardi e di conseguenza lo sviluppo del melodramma.
Gli aretini apprezzarono l’operato di Ferdinando I. Quando nel 1591 si decise di erigere un monumento celebrativo, in pochi storsero il naso. Forse perché, dopo anni di emarginazione, sotto il suo governo ci furono interventi che migliorarono la viabilità e l’economia locale. Arezzo fu infatti nominata “città di passo”, quindi nodo di scambi commerciali. Le grandi aree agricole, restituite a nuova vita, fecero invece della campagna aretina uno dei principali granai della Toscana.
La statua di marmo, proveniente dalle cave medicee di Seravezza, nel versiliese, fu disegnata dal fiammingo Jean de Boulogne, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Giambologna, ma realizzata dal collaboratore francese Pierre de Francqueville, italianizzato in Pietro Francavilla. Il binomio di autori era quanto di più prestigioso Firenze offriva dal punto di vista scultoreo in quel momento e la figura, alta circa due metri e mezzo, mostra un accentuato realismo nel volto del granduca con il caratteristico mento pronunciato.
L’opera fu collocata sul sagrato del duomo il 14 luglio 1594 e da allora rappresenta uno degli elementi più distintivi della parte alta della città, in magnifica posizione per diventare protagonista di una delle più suggestive e frequenti foto ricordo di chi visita Arezzo.