La storia narra di un ricco aretino di nome Tofano, al quale fu data in moglie la bella Ghita. Lei, scontenta del compagno geloso e ubriacone, lo tradì. E l’uomo, sospettando l’infedeltà, la chiuse fuori di casa. Ma con astuzia e un astuto stratagemma, Ghita fece in modo di rendere Tofano “cornuto e mazziato”
Via dell’Orto è una delle strade del centro storico di Arezzo più affascinanti e fotografate dai turisti. Sul lato che guarda via dei Pileati, poco prima della piazzetta Madonna del Conforto e di fronte a Casa Petrarca, l’elemento che la caratterizza è il pozzo più celebrato della storia aretina, il cosiddetto Pozzo di Tofano.
Secondo la tradizione, è quello citato da Giovanni Boccaccio nella quarta Novella della settima Giornata del “Decamerone”, l’opera massima del grande poeta toscano del Trecento e uno dei capisaldi della letteratura italiana e mondiale di tutti i tempi.
La storia narra di un ricco aretino di nome Tofano, a cui “fu data per moglie” la bella Ghita. Notate il virgolettato, perché il Boccaccio ci fa subito capire che la fanciulla non aveva avuto voce in capitolo sulla scelta del marito, come del resto era prassi a quei tempi.
La donna, esasperata dalla gelosia del consorte che non amava ma a cui era sempre rimasta devota, decise di procurarsi sul serio un giovane amante che incontrava tutte le notti, dopo aver indotto il compagno a ubriacarsi. La cosa, tra l’altro, non le rimaneva particolarmente difficile, visto che Tofano aveva il vizio di bere.
A volte si portava lo spasimante in casa, altre sere usciva dopo aver messo a letto il marito sbronzo, per tornare dopo aver soddisfatto i propri piaceri. Accortosi che qualcosa non quadrava nei comportamenti della compagna, l’uomo escogitò uno stratagemma per coglierla sul fatto e svergognarla di fronte a parenti e vicini.
Una sera, fingendosi alticcio, attese l’uscita della moglie infedele e sprangò la porta. Quando al suo ritorno trovò l’entrata sbarrata e il consorte alla finestra, Ghita lo supplicò di farla rientrare perché era stato tutto un malinteso. Di fronte all’ennesimo diniego, minacciò di affogarsi, onde evitare di essere schernita in pubblico per qualcosa che non aveva commesso.
“Se tu non m’apri, io ti farò il più tristo uom che viva” sentenziò, ricordando che della morte avrebbero incolpato lui e il suo continuo alzare il gomito. Nel buio simulò la caduta nel pozzo vicino a casa, gettandoci una grossa pietra. Tofano uscì di corsa, pensando realmente al suicidio, ma l’astuta ragazza entrò lesta nell’abitazione, serrando a sua volta l’uscio. Quindi si affacciò e prese ad accusare a squarciagola il marito, accusandolo di rincasare tardi e brillo ogni sera. Il vicinato fu svegliato dalle grida e il disgraziato si ritrovò sotto le ingiurie di tutti, compresi i parenti di lei che nel frattempo erano accorsi per prenderlo a bastonate. Della serie “cornuto e mazziato”!
In seguito Tofano e Ghita si riappacificarono. L’uomo promise di non essere più geloso e le dette persino il permesso di appagare i suoi godimenti extra coniugali, a patto che lui non se ne accorgesse. Occhio che non vede, cuore che non duole, direste voi.
A ricordarci questa divertente storia c’è ancora oggi un pozzo medievale, rifatto in pietrame concio nel XVI secolo a spese del Magistrato cittadino, come ricordava lo studioso Alessandro Del Vita in una vecchia guida novecentesca. Nel 1958 la Brigata Aretina degli Amici dei Monumenti dedicò una lapide all’episodio boccaccesco e una quindicina d’anni fa il pozzo fu ristrutturato nell’ambito del master europeo Equal, dedicato alla formazione di operatori nel settore del restauro.
I giovani restauratori operarono sulla pietra arenaria che compone il manufatto, materiale tipico dell’architettura di Arezzo ma facilmente attaccabile da agenti atmosferici e gas di scarico, contribuendo a mettere in sicurezza un luogo sospeso tra realtà e fantasia che continua a incuriosire tanti visitatori.