Imola Giramondi, per tutti Mimmina, ha rappresentato un punto di riferimento per l’imprenditoria del territorio. “Sono stata la prima a garantire il sabato libero alla maestranze e le mie operaie erano le più pagate d’Italia, senza mai un giorno di sciopero”. Dalla sottoveste creata quasi per caso nel 1953 all’attività di successo durata fino al 1996. Oggi si gode i pronipoti e il ricordo dell’amato Azelio.
“Mi avevano invitata per una pizza fra amiche a Badia al Pino. Una volta arrivati mi indicarono un grande capannone. Entrai convinta che si trattasse di una specie di sagra e invece… il frastuono quando varcai la soglia fu lo stesso di quando Maradona segnava al San Paolo di Napoli. Venni sommersa da urla, applausi, risate. Lì, riunite, c’erano 350 delle mie donne, le mie lavoratrici. Un istante dopo, fra lacrime e volti commossi, intonavano insieme i migliori anni della nostra vita. E’ stata l’emozione più grande che potessero regalarmi”.
Ognuna aveva in mano una pergamena con scritto “C’era una volta la Mimmina” e sotto erano riportati aneddoti, ricordi, pensieri cuciti nel cuore durante gli anni del lavoro in fabbrica. Presenti anche alcuni uomini, che mai avrebbero perso l’occasione di essere lì: per riabbracciare colleghe, compagne e rendere omaggio a una piccola grande donna. In un’epoca difficile per il gentil sesso, Mimmina, all’anagrafe Imola Giramondi, aveva insegnato loro un mestiere e, con esso, aveva predicato indipendenza, grinta, amore per se stesse, dignità e ambizione. “Sono stata la prima imprenditrice a garantire il sabato libero alle lavoratrici. E, per sette anni consecutivi, le mie operaie sono state le più pagate d’Italia. Mai un giorno di sciopero”. Il presidente Sandro Pertini la definì “una donnina di un metro e niente con un carattere e una tempra pari a quella di un leone” e, a Firenze, rivolgendosi agli altri imprenditori che si lamentavano per le continue agitazioni sindacali nei loro stabilimenti, disse: “chiedete a Mimmina come fa”.
Questa storia inizia nel 1953 quando in Italia si raccoglievano i pezzi dopo la lacerante guerra. “C’erano miseria e devastazione, ma anche entusiasmo. E una grande voglia di ricominciare. Io mi ero appena sposata e, dopo essermi fatta prestare 19mila lire da un amico, andai a Firenze. Senza un’idea, senza un progetto, ma con la consapevolezza che avrei dovuto inventarmi qualcosa per sopravvivere. Entrai in un negozio di stoffe e, guidata dall’istinto, ne comprai alcune. Tornai a casa e, dopo aver impugnato ago e filo, decisi di creare una sottoveste. Fu un disastro. Non vestiva bene, non metteva in risalto le forme. Per rimediare, increspai la parte vicino al seno e, come per magia, cambiò aspetto. Andai a Siena per mostrare il modello a un amico grossista: rimase sbalordito. Mi chiese di presentarmi la settimana dopo con altre sottovesti. Raddoppiai il mio debito per acquistare nuovi tessuti, ma ne valse la pena. Iniziò così la mia attività”.
In un primo momento quella donna tenace si dedicò all’intimo, nella sua abitazione; poi passò alle camicie e agli abiti, assumendo alcune collaboratrici. Nove anni più tardi, nel 1962, nacque a Badia al Pino l’azienda Mimmina Confezioni che divenne, in breve, uno dei marchi di abbigliamento più conosciuti e apprezzati d’Europa, distribuito in tutto il mondo. Un esercito di 700 operaie dalle abili mani, guidato da un esile generale dai capelli biondi, creava capi di abbigliamento eleganti e di design. Ma anche borse, ombrelli, bigiotteria, profumi, occhiali. L’azienda si trovava vicino alla stazione ferroviaria della frazione in modo che fosse facilmente raggiungibile per le operaie e i turni di lavoro non iniziavano prima delle 8 di mattina per dare la possibilità alle mamme di accompagnare i figli a scuola.
Un esempio di avanguardia che segnò un punto di svolta generazionale in una zona allora isolata e depressa. Mimmina, sempre sostenuta dal marito Azelio Rachini, lavorava fianco a fianco alle sue operaie. Poi si toglieva la vestaglia e volava a Parigi, a Milano, a Londra per presentare le sue collezioni. Instancabile e determinata. Negli anni, anche la figlia Donella e il genero Ettore Catalani sono entrati a far parte dell’azienda, contribuendo in maniera significativa alla crescita del brand. Una lunga e proficua attività durata fino al 1996. Adesso Mimmina, occhi dolci e sguardo profondo, si gode i suoi due pronipoti, raccontando loro l’incredibile fascino e la contagiosa risata del bisnonno Azelio.
Per i giovani di oggi ha un solo consiglio: “Imparate ad essere tenaci: costanza e forza di volontà sono le armi più efficaci per raggiungere gli obiettivi”.