Burattinaio, marionettista e artista di strada: Paolo Valenti ha studiato architettura, aveva un debole per l’urbanistica ma poi ha scelto il teatro, che lui considera un rito, una catarsi collettiva. Perché l’estetica è un vero sentimento nella creazione dell’opera. E alla fine ripaga sempre dei sacrifici fatti
“Quando avremo abbastanza pane per sfamarci e burattini per raccontare le nostre storie, non avremo bisogno di altro”.
Varcare la soglia del laboratorio di Paolo Valenti, burattinaio, marionettista e artista di strada, è come venire catapultati in una terza dimensione, in cui non sono più spazio e tempo a farla da padrone, ma esiste solo la magia.
Appesi al soffitto e ai mobili, centinaia di burattini e marionette realizzati artigianalmente con materiali “salvati dalla stufa, come Pinocchio” scrutano gli ospiti con le espressioni più disparate mentre Paolo, con uno sguardo sognante ed un sorriso gioviale, li accoglie invitandoli a prendere posto tra oggetti di recupero, vecchie fotografie e attrezzi del mestiere.
Dagli anni 70 ad oggi, migliaia di adulti e bambini si sono lasciati incantare dalle storie dei suoi personaggi di fantasia: Paolo li ha visti crescere, ha visto cambiare le loro capacità di apprendimento, ha sperimentato e sviluppato un concetto di animazione interattiva che trascende il tempo.
“Studiavo architettura all’università. Ero un appassionato di urbanistica, poi ho deciso di mollare tutto per dedicarmi ad un’altra grande passione, quella per la rappresentazione teatrale. Ho seguito l’onda del teatro d’avanguardia lanciata dalla compagnia Living Theatre e iniziato a lavorare come burattinaio e marionettista, facendo tutto da solo come richiede questo tipo di lavoro: dall’ideazione dello spettacolo alla costruzione di burattini e marionette, alla regia. Ho sempre preferito un tipo di recita che non fosse interpretata da attori in carne e ossa, dedicandomi più che altro al teatro sociale e mettendo al centro di tutto la condivisione: di una storia, di un argomento, di un fatto politico. Fino a 10 anni fa tenevo 70/80 spettacoli all’anno. Lavoravo molto anche con le scuole, mi sono sempre piaciuti i bambini e a loro ho dedicato tutta la mia vita. Molte delle rappresentazioni che ho realizzato in passato risultano ancora incredibilmente attuali, per tematiche trattate e per il tipo di interazione che stimolano da parte del pubblico“.
Non esiste un archivio digitale della produzione di Paolo Valenti, e a dire il vero lui cerca di utilizzare meno possibile gli strumenti di comunicazione più attuali, preferendo il classico telefono cellulare ad uno smartphone, e soprattutto scegliendo di non divulgare sui social e sul web il proprio lavoro.
“Bisogna far seguire alle cose il loro percorso naturaIe. I miei spettacoli richiedono partecipazione diretta, vanno vissuti al momento. Non ho paura che non vengano ricordati se non li condivido online, l’esperienza che ognuno dei miei spettatori può assaporare dal vivo vale molto più di milioni di sterili visualizzazioni su Youtube. Il teatro dei burattini è da considerarsi come un rito, una catarsi collettiva.
Ho visto il tempo di attenzione dei bambini ridursi drammaticamente negli anni: ho studiato pedagogia da autodidatta per riuscire a comunicare correttamente con loro e quello che ho percepito è che i bambini di oggi sanno molte più cose rispetto a quelli delle generazioni passate, ma non si tratta di esperienze vissute quanto piuttosto di risposte “confezionate” al loro inesauribile desiderio di conoscere e di scoprire.
Da un certo punto di vista si tratta di una vera e propria evoluzione dell’apprendimento, dall’altro bisogna interrogarsi sui mezzi che utilizziamo per colmare i loro bisogni: non possiamo dedicare loro sempre meno tempo e di scarsa qualità, ma piuttosto stimolare la loro curiosità, proponendo esperienze importanti da un punto di vista cognitivo.”
Gli chiedo se ha un consiglio da dare ai giovani che oggi si apprestano a trovare la propria strada nel mondo del lavoro: “In quanto esseri umani abbiamo le risorse per trovare una soluzione a tutto, fa parte del nostro dna. I racconti di mio nonno Donatino e il tempo trascorso con mio zio Aristodemo hanno plasmato la mia creatività e tracciato la mia strada: lo zio mi ha accompagnato alla scoperta delle opere d’arte di Arezzo e il Ciclo dei Mesi della Pieve ha costituito una delle mie prime ispirazioni. La bellezza ci ripaga dei sacrifici: non si tratta di un fatto puramente estetico, ma di un vero e proprio sentimento nel processo di creazione di un’opera. La bellezza salverà il mondo.“