Una nobildonna affascinante e sanguinaria nel medioevo casentinese
in collaborazione con
Diciamoci la verità: che castello sarebbe senza il suo fantasma che vaga senza pace, pronto a suggestionare o impaurire chi lo visita? Anche il Casentino, terra ricca di manieri misteriosi e leggende, non può venir meno a questa consuetudine e così, nel tempo, sono sorte varie storie a tinte horror.
Una delle più conosciute è legata a un personaggio femminile dai contorni oscuri, vissuto nel Duecento, che come tutte le tradizioni orali tramandate di generazione in generazione ha preso sfumature sempre nuove, giungendo a noi senza aver perso il suo macabro fascino. È il racconto di Matelda, la contessa sanguinaria di Poppi.
Le diverse versioni la descrivono nobildonna vedova in cerca di consolazione, popolana che conquista il cuore del signore della zona, moglie giovanissima di un conte troppo anziano per soddisfarla. Tutte però concordano nel dire che Matelda era una ragazza dalla bellezza impareggiabile. Cavalieri, menestrelli, paggi, messaggeri, artigiani e contadini: nessuno di loro, in Casentino, poteva resistere al suo charme e tutti le cadevano tra le braccia. Il problema, come vedremo, sarebbe venuto dopo.
La leggenda più conosciuta di Matelda vuole la donna vittima di un matrimonio combinato con uno dei conti Guidi – i potenti signori di Poppi e di un’ampia fetta della vallata – molto più vecchio di lei e decisamente più interessato a guerreggiare o a sbrigare gli affari politici che a soddisfare doveri e piaceri coniugali.
Con il passare del tempo la solitudine per la contessa era diventata ormai insopportabile. Per questo motivo, durante le lunghe assenze del marito, ella appagava i suoi desideri carnali ricevendo a palazzo i giovani più belli, che incontrava di nascosto, lontano da occhi indiscreti.
Matelda non poteva tuttavia rischiare che l’eco dei suoi rapporti fedifraghi si spargesse in giro. Ecco allora che escogitò un sistema per eliminare ogni traccia delle imprese amorose.
Dopo l’amplesso, invitava l’amante di turno a uscire dalle sue stanze attraverso un buio passaggio segreto, ma il percorso non si concludeva all’esterno bensì con la caduta in una botola costellata di lame appuntite, dalle quali il malcapitato veniva mortalmente trafitto. Il classico trabocchetto che ogni racconto legato a un castello medievale porta in dote, direte voi.
Le sparizioni continue di uomini destarono sgomento e preoccupazione tra i casentinesi, che cominciarono a nutrire sempre più sospetti verso la contessa. Un giorno, con il conte lontano da casa, si riunirono e ne assaltarono la residenza, scoprendo i misfatti e l’orrendo rituale di Matelda. Accusata di stregoneria, adulterio, lussuria e vari omicidi, la nobildonna venne murata viva in una torre, dove morì di fame e sete, accompagnata da strazianti gemiti.
Da allora lo spettro di Matelda aleggerebbe su Poppi e la sua anima persa vagherebbe nel castello dei Conti Guidi e nei dintorni. Ammirando la facciata del maniero, la spietata signora potrebbe apparire da dietro i vetri delle finestre; visitandolo all’interno, invece, i maschi potrebbero avvertire dei leggeri soffi di vento freddo. È la contessa che tenta di ammaliarli sussurrando nelle orecchie frasi vezzose.
Da piazza Gramsci e dalla vicina Porta Santi di Cascese, se alziamo gli occhi, possiamo infine notare una torre quadrangolare che spunta sopra i tetti del borgo. È la cosiddetta Torre dei diavoli, già nel nome tutto un programma. La costruzione forse faceva parte della prima fase dell’incastellamento di Poppi, quella precedente all’intervento che dal 1274 dette al borgo fortificato grossomodo il suo aspetto odierno.
La torre è identificata, sempre secondo la tradizione, con il luogo in cui si consumarono i delitti di Matelda o con quello in cui la “dark lady” del Casentino fu rinchiusa. C’è chi giura, passandoci accanto nelle notti più tenebrose, di aver sentito dei lamenti. Qualcuno di vuoi sarebbe disposto a consolare la dama che li emette?