Fabrizio Simoncioni, un destino legato alla musica: produttore, strumentista, ingegnere del suono, ha lavorato con i più grandi artisti italiani. Dal pezzo dance “Xenon – The Adventure” composto a quattro mani con Marco Masini al primo contratto per Sanremo, fino all’incidente che gli ha cambiato la vita. Una storia a tutto sound
Come il capitano di una navicella spaziale, Fabrizio Simoncioni trascorre le sue giornate immerso in un ambiente quasi surreale: è il re di fader ed equalizzatori, il sovrano assoluto delle tracce audio.
Produttore, musicista, ingegnere del suono, “Simoncia” ha lavorato con i più famosi artisti italiani e latini conquistando, in oltre trent’anni di carriera, più di 57 dischi di platino e oltre cento dischi d’oro fino ad ottenere la nomination ai Latin Grammy. Dalle sue mani sono passate tantissime hits internazionali, acquisendo lo stile e la personalità che le hanno rese inimitabili.
Benedetto da Guido d’Arezzo? Non ci è dato saperlo, ma quello che è certo è che si sente baciato dalla dea bendata.
“Nonostante sia molto meticoloso e preciso sul lavoro, ho difficoltà a raccontare in maniera ordinata la mia vita. I miei genitori sono stati i primi a credere nel mio talento e mi hanno sostenuto sin da giovanissimo. Mi sono diplomato al Conservatorio Cherubini di Firenze, specializzandomi in tastiera elettronica, e da lì si sono susseguiti una serie di eventi fortunati, sempre mentre ero concentrato a fare altre cose, che mi hanno condotto dove sono oggi. Ho iniziato nei primi anni ’80 componendo brani entrati nella storia della Italo Disco, come Xenon – the adventure, assieme a Marco Masini. Ho vinto un concorso per nuovi talenti e ho avuto la fortuna di essere prodotto da Enzo Ghinazzi, con cui ancora collaboro e coltivo un rapporto di amicizia, entrando nel circuito delle sigle Rai. Tutto stava andando nel verso giusto e avrei dovuto partecipare a Sanremo quando, nel 1984, ho avuto un vero e proprio frontale con i miei progetti di musicista, che mi ha portato a percorrere una strada nuova e inaspettata”. Costretto in un letto di ospedale e impossibilitato a suonare in seguito a un gravissimo incidente automobilistico, Simoncia si dedica allo studio di fisica e acustica, appassionandosi a un altro aspetto del mondo della musica.
“Nella sfortuna di quest’incidente, ho avuto la fortuna di rimanere vivo e di risolvere i danni fisici, ma soprattutto di scoprire la mia vera vocazione, ciò che veramente mi rendeva straordinario, ovvero realizzare dischi dal punto di vista tecnico. Se avessi continuato la carriera di compositore, probabilmente oggi farei qualcos’altro nella vita, mentre il mio talento mi ha fatto diventare il più importante ingegnere del suono italiano, aprendomi tantissime strade e dandomi l’opportunità di lavorare con i Litfiba e i Negrita, che allora si chiamavano Inudibili. Non avendo un tastierista, con loro ho anche suonato”.
Il carattere ottimista e l’attitudine al sorriso e alla positività lo rendono un vero e proprio portafortuna per la maggior parte degli artisti italiani che, oltre a chiedergli di registrare i propri dischi, lo coinvolgono come musicista. Fabrizio inizia quindi a lavorare di giorno in studio, di notte per scrivere le parti delle tastiere.
“Un altro colpo di fortuna è capitato con Ligabue. Nel lavorare con lui per la produzione della colonna sonora di Radiofreccia, si è creata un’intesa professionale tale da permettermi di diventare membro ufficiale della Banda, di cui ho fatto parte per sette anni realizzando come tastierista, corista e ingegnere del suono tutti gli album dal 1998 al 2005. Le mie qualità di tecnico del suono hanno fatto in modo che, nonostante come tastierista sia meno talentuoso rispetto alla maggior parte dei miei colleghi, le mie parti si armonizzassero perfettamente con quelle degli altri strumenti, esaltando ogni suono al massimo delle potenzialità”.
Altro giro, altra corsa. Simoncia riceve uno stimolante incarico per la Sony Music Messico, dove segue altri progetti musicali e resta per quasi otto anni, facendo avanti e indietro da Arezzo per vedere suo figlio Alessandro: “Sono uno dei pochi, fieri, padri ad aver ricevuto l’affidamento di un figlio in seguito alla rottura di una relazione”. Poi il ritorno definitivo ad Arezzo, la sua “cueva”, dove si confronta con un panorama musicale italiano completamente rivoluzionato.
“Non amo la musica trap, non riesco ad ascoltarla: nei testi si parla sempre in modo irrispettoso delle donne e si esaltano stili di vita tossici, non rispecchiano il mio modo di vivere e la devozione che ho per la donna che amo. Noi addetti ai lavori vendiamo emozioni e ciò che conta in un disco è proprio ciò che riusciamo a trasmettere, il clima che abbiamo respirato nel registrarlo”.
Simoncia è uno che mette il cuore in qualsiasi cosa fa: basta vederlo suonare scalzo sul palco (dopo l’apertura del Pistoia Blues con Filippo Margheri e Ghigo, lo rivedremo prossimamente in tour con i Litfiba), vederlo al lavoro nel D-pot studio di Prato o dare un’occhiata ai suoi post sui social. Per raccontare la sua vita servirebbe un’enciclopedia, “ma proverò, se riuscirò a riordinare le idee, a farvela leggere in un’autobiografia”.