Da opera minore, defilata in prossimità della sagrestia e per anni seminascosta dall’ingombrante cenotafio in memoria di Guido Tarlati,a mirabile compendio di femminilità, realismo e naturalezza. L’affresco, custodito all’interno del Duomo di Arezzo, ha trovato il giusto riconoscimento artistico solo negli ultimi decenni, dopo diversi restauri. Oggi è considerato uno degli esempi più fulgidi del genio pierfrancescano
Da opera minore a capolavoro pierfrancescano
“Fece anco nel Vescovado di detta città una Santa Maria Madalena a fresco, allato alla porta della sagrestia”.
Con queste poche parole Giorgio Vasari, nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori del 1568, liquida quasi en passant uno dei più grandi capolavori del Rinascimento presenti ad Arezzo, custodito nella parete sinistra della cattedrale.
Stiamo parlando della Maddalena di Piero della Francesca, che assieme al ciclo della Leggenda della Vera Croce della basilica di San Francesco è ciò che possiamo ancora ammirare di quello che l’artista di Sansepolcro ha realizzato in città.
L’affresco ha trovato la giusta fortuna critica soltanto negli ultimi decenni. A lungo, infatti, è stata considerata un’opera minore di Piero, mentre oggi è reputata all’unanimità come una delle più affascinanti figure femminili eseguite dal maestro biturgense.
La presenza ingombrante del Cenotafio
La collocazione defilata, in prossimità della porta della sagrestia, di certo non ha favorito fin da subito la valorizzazione dell’opera. A questo possiamo aggiungere che nel 1783 le venne infelicemente addossato, quasi a nasconderla, il grandioso Cenotafio eseguito nel 1330 dai senesi Agostino di Giovanni e Agnolo di Ventura per celebrare il defunto vescovo e signore della città Guido Tarlati. In origine, infatti, il complesso marmoreo si trovava a destra dell’altare maggiore, nella cappella del Santissimo Sacramento, ma fu spostato nell’attuale posizione per volere del vescovo Niccolò Marcacci.
Nel 1820, dulcis in fundo, fu inserita anche un’acquasantiera nella parte inferiore dell’affresco, che qualche danno aggiuntivo lo fece. Poi, per fortuna, venne rimossa.
Nonostante la posizione appartata, non mancò di evidenziarla Gabriele D’Annunzio nella serie Le città del silenzio, inserita nel volume Elettra del 1903, quando parlando di Arezzo trasfigurò la santa – definita “Fiore di Magdala” – in Atena priva dei classici attributi guerrieri perché al servizio delle muse.
Chi era Maria Maddalena
Detta anche Maria di Magdala, un villaggio di pescatori sulle sponde del lago di Tiberiade, secondo i Vangeli Maria Maddalena era una donna che Gesù liberò da sette spiriti cattivi. Da allora entrò a fare parte dei discepoli più devoti e fedeli.
La tradizione la vuole prostituta redenta e questo – pensate un po’ – è solo perché nella pagina evangelica precedente all’episodio dell’esorcismo, riportata da Luca, si narra della conversione di una peccatrice che cosparge di olio profumato i piedi di Gesù, per poi asciugarli coi suoi capelli. Quindi, senza nessuna connessione, Maria di Magdala è stata identificata erroneamente con quella prostituta anonima, creando un equivoco plurisecolare.
La Maddalena seguì Gesù fino alla fine sul Monte Calvario. Fu presente quando Giuseppe d’Arimatea depose il corpo del Signore nel sepolcro, così come fu lei a trovare la pietra rimossa che lo chiudeva. Si racconta che corse ad avvertire Pietro e Giovanni, i quali arrivarono alla tomba scoprendo l’assenza di Cristo. Mentre i due apostoli tornavano a casa, lei rimase sul posto e incontrò Gesù sotto altre sembianze, che in un secondo momento riconobbe. È l’episodio conosciuto come Noli me tangere (“non mi trattenere”).
La prima testimone oculare della Resurrezione è venerata come santa e viene celebrata dalla chiesa cattolica il 22 luglio.
I restauri del passato
Un primo recupero della Maddalena di Piero fu eseguito nel primo Novecento. Un altro restauro conservativo è quello di Leonetto Tintori degli anni Sessanta.
L’ultimo intervento importante è del 1994, eseguito da Guido Botticelli sotto la direzione tecnica di Stefano Casciu, attuale direttore del Polo Museale della Toscana, che fu indispensabile per fermare il degrado. Come racconta lo stesso restauratore, “l’intervento si svolse secondo la consolidata metodologia applicata per gli affreschi nell’ambito toscano, opportunamente verificata momento per momento sulla realtà materica e artistica dell’opera”.
Nell’occasione fu confermato che il lavoro era stato eseguito a fresco in sette giornate consecutive, facendo uso di uno spolvero meticoloso per il trasferimento del disegno.
Riguardo i colori della figura femminile, Piero usò terre verdi e rosse e il bianco di San Giovanni, che è il bianco per eccellenza dell’affresco, fatto di carbonato di calcio.
Una donna unica tra quelle del pittore biturgense
Non si può rimanere indifferenti di fronte al magnetismo che trasmette l’opera. La femminilità e la bellezza profana della Maddalena di Arezzo colpiscono subito l’osservatore. Come scriveva la compianta soprintendente Anna Maria Maetzke, una per cui Piero della Francesca fu quasi una ragione di vita, essa “non ha confronti con le altre figure di donna di tutta la sua carriera”.
La santa è collocata in piedi, all’interno di un arco a tutto sesto dipinto con decorazioni e fregi formati da eleganti palmette e altri elementi. L’artista dà profondità alla nicchia giocando mirabilmente con le colonne, i capitelli e l’arcata. Sullo sfondo, purtroppo, il cielo azzurro è quasi perso perché eseguito con tecnica a secco, così come l’aureola dorata.
La Maddalena di Piero è giunonica nelle forme, straordinaria per il realismo quasi fiammingo e la naturalezza dei capelli sciolti che le coprono le spalle. Sono gli stessi che, secondo la tradizione, la donna usò per asciugare i piedi di Gesù dopo averli cosparsi di un unguento contenuto nel vaso di vetro della mano sinistra, altro simbolo iconografico tipico del personaggio, di cui il genio rinascimentale accentua la resa tridimensionale e la lucentezza. Una seconda lettura fa riferire il recipiente a quello di oli aromatici, con cui la seguace unse il corpo di Cristo nel sepolcro.
Uno sguardo profondo e umano
L’incarnato del volto è indimenticabile. Umanissimo per le guance appena arrossate, le labbra carnose e il collo valorizzato dalla luce che lo colpisce da sinistra. La donna ha uno sguardo dolce e pensieroso, profondo ed espressivo, certamente meno ieratico di tutte le altre figure femminili pierfrancescane.
L’abbigliamento, eseguito con colori densi e accesi, merita un discorso a parte. Tutta l’opera è infatti risaltata dal verde della veste e dal binomio bianco-rosso del mantello. Le pieghe e i drappeggi delle stoffe danno un volume magistrale a tutta la figura.
Con un movimento sicuro la Maddalena tiene con la mano destra un lembo del manto rosso foderato di bianco. La leggera torsione del corpo in direzione opposta al viso toglie infine gli ultimi residui di staticità alla scena.
Il dipinto fu eseguito in un arco di tempo compreso tra il 1459 e il 1466. Erano gli anni in cui veniva portata a compimento La Leggenda della Vera Croce in San Francesco, capolavoro dell’arte universale e oggi il principale biglietto da visita turistico di Arezzo.