Il Casentino è una terra magica, piena di leggende e tradizioni, con un legame speciale e turbolento al tempo stesso con Arezzo. Una terra dove è più facile restare legati al passato che inseguire il futuro, che continua a vivere grazie anche alle nuove generazioni che decidono di tornare o di restare per realizzare i propri progetti, a volte da soli, a volte in famiglia. E in sintesi questa è la storia di Matteo Goretti, che oggi, a Ponte a Poppi, lavora con la mamma nel laboratorio di produzione, vendita al dettaglio della pasta fresca e, quando si poteva, un piccolo spazio di ristoro dove gli avventori potevano mangiare piatti cucinati al momento, soprattutto i turisti. Ma non è stato sempre così e per arrivare fino a qui Matteo ha fatto un giro largo, non banale, un’esperienza che gli è tornata utile e che ha dato il là alla sua visione del mondo, della vita e dell’attività di famiglia: babbo Marco, dipendente di un’azienda di abbigliamento, mamma Donatella, titolare de “Il Mattarello” da sette anni, e la sorella Giulia, che ha un negozio di parrucchiera, sempre in paese. È questo l’humus di Matteo, un humus che gli è entrato nel sangue dopo essere andato via ed essere ritornato. Diplomato ragioniere ha lavorato per quattro anni in un’azienda del territorio, senza grande soddisfazione, sia per la scuola che per quel mestiere, in testa l’idea di migliorare la lingua inglese, anche se all’epoca non sapeva bene perché.
Ed è con quell’idea che Matteo ha preso l’aereo per l’Inghilterra, quando ancora si poteva fare: «Nell’attività di famiglia, fino a quel momento, avevo dato una mano a tempo perso ma niente di più. Ero in un periodo nel quale dovevo ritrovare me stesso, il mio centro di gravità e così ho preso la ‘scusa’ dell’inglese, mi sono licenziato e sono andato a studiare a Bath, in un college, per tre mesi. Terminati gli studi, che mi hanno permesso di ottenere un’importante certificazione linguistica, mi sono preso un periodo sabbatico, viaggiando tra Galles, Irlanda e Inghilterra, solo e libero. Avevo voglia di viaggiare da solo e questo mi ha aiutato a riordinare le idee, le priorità e anche i progetti per il mio futuro, in fondo avevo solo 25 anni». In quelle settimane a Matteo sono mancati soprattutto la famiglia e gli amici, lui che ha bisogno della compagnia, dello stare insieme, delle chiacchiere in libertà, ma in quel momento c’era bisogno di altro per capire qual era la strada da prendere: «Nei giorni di Bath stavo da una signora che la prima sera, per farmi sentire a casa, mi cucinò gli spaghetti al pomodoro: mamma mia! Da allora ho sempre cucinato io. Ecco, un’altra cosa che mi è mancata è stato il mangiare bene». Di contro la libertà di un Paese che ne ha fatta la sua cifra storica: «È stato importante guardare oltre i miei confini. Il Casentino è un posto bellissimo e guai a chi me lo tocca, ma è anche chiuso. L’Inghilterra mi ha insegnato a essere più aperto verso gli altri e le cose, a vivere senza pregiudizi e a tenere meno in considerazione quelli altrui. È stata il ‘concime’ per i miei progetti, a partire dalla lingua, fondamentale per il rapporto con le strutture ricettive, i corsi di pasta e le dimostrazioni. Io ho bisogno di interagire con il cliente e per farlo con gli stranieri dovevo affinare quello strumento».
Una volta tornato a casa, Ponte a Poppi, Matteo ha iniziato a masticare il mondo della gastronomia, perché un conto è appassionarsi da piccoli alla cucina, un altro farlo tutti i giorni replicando forme e qualità: «La cucina non è solo tradizione e competenza, ma anche studio continuo, così mi sono iscritto all’Accademia del Gusto di Arezzo e ho seguito un corso di due anni. È stato fondamentale perché mi ha fatto conoscere il mondo della cucina nella sua completezza». Poi il lavoro quotidiano, gomito a gomito con la mamma: «Credo sia la cosa più bella del mondo lavorare con mia madre, con tanti pro e alcuni contro, caratterialmente ci troviamo bene e questo a cascata si vede nel lavoro e con i clienti. Tanti mi dicono che trasmetto positività e la compatibilità con mia madre fa il resto, anche se non mancano le giornate difficili e qualche volta sono volati pure mattarelli e padelle», afferma ridendo. Lei metodica, lui con nuovi progetti in testa e così il laboratorio, punto vendita, ristoro, piano piano si è trasformato decidendo insieme sul da farsi: «Grazie ai turisti mi sono reso conto che c’erano delle potenzialità per sviluppare nuove attività, così ci siamo consultati con il babbo, il quale anche se fa un lavoro diverso è sempre il nostro punto di riferimento, se lui è convinto lo siamo anche io e la mamma, se lui dubita, noi dubitiamo di più. Così sono nati i corsi di pasta, gli eventi a domicilio, le cene private e il catering, quando si poteva. Il momento storico non aiuta, ma è fondamentale rimanere sul pezzo e forse questa è la parte più faticosa del mio lavoro. Ciò, però, non ci ha impedito di attivare una collaborazione con un locale di Firenze, che potremmo definire un bistrot street food gourmet, aperto da quattro ragazzi di Soci che vendono i nostri tortelli alla lastra. Una collaborazione che abbiamo rinnovato in questo difficile momento richiamandoli in Casentino per fare asporto e consegne a domicilio: abbiamo fatto il botto alcune settimane fa e sicuramente è un evento che vogliamo riproporre, magari anche ad Arezzo. L’estate promette bene ma ancora non siamo sicuri se potremo fare degli eventi oppure no, la pandemia resta un grande punto interrogativo. Noi siamo rimasti in piedi perché siamo io e la mamma, non abbiamo dipendenti e quindi la ‘cinghia’ è più elastica che altrove; senza dimenticare che noi facciamo un prodotto artigianale che costa cinque volte tanto quello industriale».
Il tortello di patate è uno dei prodotti maggiormente caratteristici del Casentino, dietro ci sono racconti, tradizioni, famiglie e cucinarlo, oltre che mangiarlo, piace molto a Matteo: rigorosamente burro e salvia. Il cui dinamismo lo porta facilmente ad annoiarsi e per questo non si ferma mai, cercando sempre sbocchi nuovi per la sua attività, come le box da asporto: «L’ultima è una lasagnetta croccante con besciamella e ragù, da rigenerare una volta arrivati a casa. La mia idea gourmet è quella di ricreare il sapore per cui andavo pazzo da piccolo a casa della nonna, raschiando la teglia delle lasagne e divorando quella parte croccante e saporita che vi restava attaccata, magari usando carne di piccione invece che quelle più classiche. Non s’inventa niente, ma si cerca di dare un senso a quello che si fa». Come la collaborazione con l’università di Bath che non è nata per caso, ma è il frutto del percorso di Matteo: «Prendevo ripetizioni d’inglese da una signora di Poppi, Carla, che insegava italiano in una università russa, così quando decisi di andare in Inghilterra mi mise in contatto con un ragazzo di Empoli che insegnava a Bath, una località con pochissimi italiani, ideale per imparare bene la lingua. Lui mi ha fatto da Cicerone e poi, quando sono tornato in Italia, mi ha richiamato per organizzare dei corsi di cucina all’università, corsi che sono saltati a causa del Covid-19. Qualche tempo fa, però, con la DAD che languiva mi ha proposto di farli online: un mezzo per insegnare lingua e cultura italiana ai ragazzi e alle ragazze, che per la maggior parte sono inglesi. Il giorno prima gli mandiamo una dispensa nella quale sono indicati gli ingredienti e il procedimento a grandi linee, poi in collegamento cuciniamo insieme, prendendoci delle pause nelle quali il professore riadatta una canzone della nostra tradizione alla situazione contingente, tipo “blu dipinto di blu / gnocchi al ragù”, ecc. Chi beve vino, chi birra e il contesto conviviale da al tutto un tono artigianale». La collaborazione con l’università di Bath è solamente una delle idee di Matteo che per scaramanzia non svela i nuovi progetti che ha in testa, consapevole che a soli 28 anni (è nato l’11 giugno 1992 all’ospedale di Bibbiena) è ancora giovanissimo e ha tanta strada davanti: «Il mondo è cambiato e cambierà, ci si deve far trovare sempre pronti».
Artigiano e cuoco al tempo stesso: «Due sensazioni differenti. Quando faccio la sfoglia, realizzando tortelli o tagliatelle, parte un ricordo dell’infanzia, di quando la nonna o la mamma cucinavano, quando la domenica si stava tutti insieme. Adesso è diverso perché la domenica lavoriamo, però scatta sempre un’emozione positiva. C’è anche l’orgoglio campanilistico della tradizione, indubbiamente. Quando cucino, invece, l’effetto è diverso perché tutto dipende dalla soddisfazione del cliente e lì ci sono tante variabili e problemi da risolvere, sia che faccia catering, sia che organizzi una cena a domicilio. Se il cliente è soddisfatto scatta il passaparola e per noi, per il nostro lavoro, è fondamentale. Il complimento più bello della mamma? La fiducia che mi da senza dire niente, quella che ti guadagni solo con il lavoro duro, di tutti i giorni. Di un cliente? Non me li ricordo, ma quando è scoppiata la pandemia ci hanno scritto in tantissimi per sapere come stavamo, come andava e che quando tutto sarà finito torneranno a trovarci e a mangiare i nostri prodotti. Spero tanto che questa estate sia il momento in cui torneremo verso la normalità e questo non solo per noi ma per tutti. Lavorare alla giornata senza poter programmare niente non è bello». Un percorso artigianale e umanamente intrigante quello di Matteo, lui che non amava la scuola e che adesso studia in continuazione per migliorarsi, per puntellare con la competenza i progetti in fieri e per regalare nuove soddisfazioni ai clienti: «A diciotto anni non puoi sapere cosa farai a ventotto. Sbagliando s’impara, questo è sicuro, ma bisogna studiare per rimanere al passo con i tempi e rimettersi sempre in gioco. Per questi motivi credo che il mio dinamismo e la mia positività siano particolarmente apprezzati, sia in famiglia che dai clienti. Il difetto? Che qualche volta faccio troppo di testa mia e ogni tanto vado a sbattere».
Da tre anni convive con Anna, la sua compagna, nel comune di Ortignano Raggiolo, vicino a quello di Poppi: «L’ho conquistata con la positività e… prima di partire per l’Inghilterra sono riuscito a invitarla a cena fuori, finendo a Lucardo, Montespertoli; è stata una piacevole serata. Dopo cinque anni ci siamo ritrovati e l’ho riconquistata con uno spaghetto aglio, olio e peperoncino, con abbondante formaggio. Perché la cucina è anche questo, fare le cose che ci fanno stare bene, con amore ed esserne contenti». Quello che è tornato dall’Inghilterra è un Matteo nuovo, non solo per Anna, ma anche per la famiglia, rinforzando un legame che per il nostro cuoco è fondamentale: «Con il babbo qualche scontro c’è sempre perché abbiamo lo stesso carattere, però lui è il nostro filo conduttore, la persona che ci tiene tutti insieme, una colonna che mi e ci sostiene. Con la mamma andiamo molto d’accordo ma non mancano alti e bassi», l’importante è che la pasta sia sempre al dente. Perché la vita è fatta così, si deve viaggiare un po’ da soli per capire cosa farne e per comprendere con chi continuare il viaggio. Andare lontani, che non significa fuggire da sé stessi, perché «da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx», ma prendere le distanze per avere le idee chiare e magari tornare, restare per sempre e costruirsi un futuro lì dove si è nati, con le persone che ti conoscono da sempre e che hanno avuto l’amore e la pazienza di aspettarti. E quando si torna cosa si fa? Si cucina insieme il solito piatto, quello di cui non puoi fare a meno, quello che richiama al palato e alla mente ciò che si è stati insieme. Da quel piatto è ripartita la vita di Matteo, in quel piatto ha ritrovato sé stesso e un «futuro invadente» che non vede l’ora di esplorare.