“Tutti abbiamo capito l’importanza della sanità pubblica. Quella italiana è in grado di dare grandi risposte, a patto che venga preservata”. Il professor Marcello Caremani, per anni primario del reparto di malattie infettive al San Donato, lancia un monito in piena emergenza coronavirus: “Basta tagli inaccettabili, nessuno deve essere lasciato indietro”. E dall’alto di una vasta esperienza professionale, dice la sua sull’operato del Governo, sul dramma della Lombardia, sulle speranze di un vaccino e sulla situazione di Arezzo: “Da noi la terapia intensiva sta reggendo grazie a una riorganizzazione tempestiva”
“Sto cercando di dare il mio contributo in questo periodo di emergenza, facendo il divulgatore”. Da quando la pandemia ha ammantato ogni aspetto della vita comune, Marcello Caremani si sta adoperando per la sua Arezzo, attraverso consigli utili, con il rigore scientifico che contraddistingue il professore e l’umana comprensione propria della persona. Caremani si dà da fare oggi con lo stesso spirito di servizio con cui ha svolto la propria professione di medico prima e accettando l’incarico di assessore alle politiche sociali e sanitarie del Comune di Arezzo poi. Di Covid (e del coronavirus che genera questa patologia) parla fuori dal “suo” ospedale, incoraggiando l’allievo Danilo Tacconi, che guida il reparto di malattie infettive del San Donato di Arezzo durante questa partita così complicata.
Da medico “senior”, il professor Caremani fa informazione sui rischi che si corrono, comunica le corrette pratiche da adottare ogni giorno, dalle regole sull’igiene personale a quelle del distanziamento sociale. E smaschera le bufale che circolano incontrollate da un telefonino all’altro, alimentate dal carburante di un’irrazionale paura per un nemico tanto piccolo quanto insidioso, che ha rivelato ai più fragilità sconosciute.
“Devo dire che il direttore generale della Asl Toscana Sud Est Antonio D’Urso e il responsabile di reparto Danilo Tacconi hanno fatto partire Arezzo con anticipo rispetto ad altre realtà nazionali. E hanno iniziato bene, i dati fino a questo momento (l’intervista risale ai primi giorni di aprile 2020, nda) sono meno negativi rispetto ad altri territori. Si sta lavorando correttamente, anche sulla scorta dell’esperienza del Nord Italia, area colpita prima e più duramente. Ad Arezzo, in particolare, c’è stata una riorganizzazione importante. Figlia di una preparazione preventiva. Le problematiche relative all’esplosione dell’epidemia sono state illustrate ad inizio febbraio, quando la situazione era relativamente tranquilla. L’ospedale San Donato è diventato il punto di riferimento per i pazienti Covid dell’area vasta della Toscana Sud Est assieme a quello di Grosseto. E ad Arezzo è stato creato il terzo laboratorio toscano per i tamponi, che permettono di verificare la positività al virus”.
Caremani si sofferma poi ad analizzare, per quanto possibile in una situazione così fluida, l’andamento dei contagiati gravi emersi, dei quali, all’inizio di aprile, si è registrato un sensibile calo nell’Aretino. “La terapia intensiva nel nostro territorio sta reggendo, proprio grazie all’ottimo lavoro fatto in fase iniziale. Si tratta pur sempre di una situazione eccezionale, in cui il personale sanitario coinvolto è costantemente sotto stress, costretto a dare un contributo incredibile rispetto all’ordinario. Tuttavia in questo momento si può constatare la bontà dell’operato svolto: con estrema soddisfazione personale, Arezzo continua ad essere un’eccellenza, e questo mi fa piacere, in un contesto generalmente positivo di suo, come quello della Regione Toscana, in grado di affrontare – lo ripeto – prima e meglio di altre realtà l’emergenza”.
Ma ci sono aree italiane che, per settimane, sono state in gravissima sofferenza. “Complessivamente – continua il professore – l’Italia non si è attivata in ritardo. E non ha lavorato male, tutt’altro. Il Governo? Credo abbia preso le misure necessarie in una situazione in continuo divenire e non facile da interpretare all’inizio, data anche la macchina gigantesca che è l’Italia, quando è in moto. Siamo passati dal denunciare continuamente i medici per presunti casi di malasanità alla denuncia dei politici accusati di non aver preso opportuni e tempestivi provvedimenti per il contenimento della diffusione del virus. Non è serio. Detto questo, bisogna ammettere che errori ci sono stati. Penso ad esempio alla Lombardia, dove c’è stata un’epidemia ospedaliera che ha mietuto decine di vittime. Ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, c’è stato un errore estremamente preciso. Il sospetto positivo doveva essere gestito in maniera diversa. Ci sono state sottovalutazioni. I protocolli sono stati disattesi. Poi ci sono numerose situazioni da monitorare, penso alle Rsa, dove i possibili contagiati sono soggetti fragili, ad alto rischio”.
Caremani si sofferma a parlare poi di uno degli aspetti che più inquietano della diffusione della patologia, il numero di morti. “E’ vero, ma l’Italia, correttamente a differenza di altri Paesi, sta conteggiando tutti i morti positivi al Coronavirus, quindi valutiamo la mortalità correlata e quella direttamente correlata. Ma di tutti questi decessi, soltanto una piccola percentuale non presentava patologie: circa il 10%. E comunque, anche in questo particolare segmento, l’età media è molto avanzata. Più in generale, nella stragrande maggioranza dei casi, i pazienti deceduti presentavano un’altra patologia, se non due o tre. Sono poche centinaia, al momento, i casi di morte direttamente correlata al Coronavirus”.
E’ anche vero che le persone fragili, fintanto che non sarà a disposizione un’arma che riesca a combattere efficacemente il Covid-19, resteranno ad alto rischio. “E’ questo il problema: ci vorrà almeno un anno per mettere a punto il vaccino, nonostante i percorsi per realizzarlo siano stati notevolmente abbreviati. Quando lo avremo a disposizione, la patologia potrà essere prevenuta e debellata. E, faccio un inciso, spero che i No-Vax se ne rendano conto. Nel frattempo, però, si può trovare una cura: un farmaco efficace per combattere il virus una volta avvenuto il contagio. Le sperimentazioni sono già in atto. Ci sono 200 farmaci antivirali. Aids, Epatite C, Ebola: sono tutte patologie che negli anni abbiamo saputo contrastare grazie a medicine specifiche”.
Caremani non si sottrae all’interrogativo principe, quello legato alla fine dell’emergenza. Quando? E quale nuova normalità ci attende? “E’ difficile dirlo. Quando l’R0 scende sotto l’1. L’indice di contagio è 1 quando una persona ne contagia un’altra sola. L’R0 del Coronavirus è variabile, in base al tempo, alla densità di popolazione. Se arriva a 4, ad esempio, una persone ne contagia 4. Così scoppiano i focolai. Se scende sotto l’1, si riduce enormemente il potere di contagio. Di sicuro occorrerà fare molta attenzione. Riaprire gradualmente. Fare concessioni un po’ alla volta. Magari l’attività del barbiere soffrirà un po’ di più di altre in cui il contatto fisico tra persone non è previsto. Restare a casa il più possibile – compatibilmente con la ripresa della macchina economica – rappresenterà ancora l’opzione primaria. Certamente dovranno restare in casa tutte le persone sintomatiche. Un errore di valutazione, le imprudenze possono riattivare i focolai, come purtroppo è già successo ad Hong Kong. Serviranno ancora il distanziamento sociale e un’accurata igiene personale”.
Infine Caremani riflette sulla situazione italiana, su come il nostro Paese ha approcciato l’emergenza e su cosa può imparare da essa. “Anzitutto, abbiamo tutti capito – finalmente – l’importanza della sanità pubblica. Quella italiana è in grado di dare grandi risposte, a patto che venga preservata. Negli anni sono stati fatti tagli inaccettabili. Aggiungo che il nostro Paese ha reagito con grande orgoglio, le industrie della moda si sono messe a fare mascherine. Lo abbiamo visto anche nel nostro territorio. E una delle prime misure prese è quella a sostegno delle fasce più deboli della popolazione, con la distribuzione di beni di prima necessità. Ho notato, almeno in un primo momento, reazioni assurde a questa pandemia in alcuni Paesi come Gran Bretagna, Brasile, Stati Uniti. Ecco, l’Italia sta dando un segnale diverso e bellissimo, nessuno deve essere lasciato indietro”.