Pittore figurativo, innamorato della Giostra e dell’Arezzo, ha disegnato il bozzetto del trofeo dedicato ai cento anni della squadra di calcio e vinto domenica da Porta Crucifera, il suo quartiere. “Colcitrone è il fulcro della città, allo stadio mi trovo come a casa. Il Saracino e la squadra amaranto sono i miei due grandi amori, le emozioni di questo periodo me le porterò dentro tutta la vita”
Aretino, 57 anni, pittore figurativo, Paolo Antonio Toci abita e lavora in via dell’Orto, tra la casa di Francesco Petrarca e il pozzo di Tofano, citato da Boccaccio nel Decamerone. Vive, respira e crea arte senza disdegnare passioni più prosaiche come il pallone e la Giostra del Saracino, che comunque sanno toccare corde profondissime dell’anima. Tifoso dell’Arezzo, quartierista di Porta Crucifera, ha avuto il merito e il privilegio di disegnare il bozzetto dell’ultima lancia d’oro, dedicata ai cento anni della squadra di calcio e vinta proprio da Colcitrone. Per lui, con il cuore metà amaranto e metà rossoverde, è stata una botta di energia clamorosa, una soddisfazione impagabile, una gioia talmente grande e trasversale che è complicata da tradurre in parole.
“Domenica ero in tribuna, così vicino alla lizza che quasi mi sembrava di esserci sopra. Carriera dopo carriera, ho capito che Porta Crucifera poteva farcela, nonostante il pronostico le fosse sfavorevole. Era come se ci fosse un destino scritto in partenza, quella lancia doveva tornare lì dov’era nata. Gli avversari si sono messi fuori gioco da soli e noi siamo stati bravi ad approfittarne”.
Poi sono cominciati i festeggiamenti, con il te deum in duomo e la lunga notte al quartiere, dove il trofeo è passato di mano in mano, con un foulard rossoverde annodato sopra.
“Ho temuto più di una volta che si rompesse, l’ho visto roteare in aria e sollevarsi al cielo. L’hanno anche portato in giro su un pick up, con il rischio che sbattesse sulle pareti dei palazzi. Alla fine però è andata bene, resterà un ricordo speciale che mi riempie d’orgoglio”.
Amata, vissuta, partecipata, la Giostra è uno scrigno di emozioni e stati d’animo, di storie personali e collettive, lo specchio di una città che si divide e si ricompatta con la stessa disinvoltura.
“Sono rossoverde da sempre, la mia famiglia è legata a Porta Crucifera da generazioni. Io sono stato bambino, adolescente e uomo adulto qui a Colcitrone, che resta ancora oggi il fulcro popolare di Arezzo. Certi giorni, in giro per questi angoli di centro storico, mi sembra che il tempo si sia fermato a cinquant’anni fa. Avverto un brivido che mi piace moltissimo. Domenica sera sono andato in sede a brindare, c’era un’atmosfera elettrica. Ma voglio ringraziare anche gli altri quartieri per l’apprezzamento nei confronti del mio lavoro: se avesse vinto Santo Spirito o Sant’Andrea o San Lorentino, avrei reso omaggio ugualmente”.
“Una lancia leggera, semplice” l’aveva definita, confessando di essersi ispirato a quelle degli anni ’30. Nell’elsa e nell’asta intagliata su legno di tiglio si ritrovano il pallone di cuoio che si usava una volta, il prato verde, il cavallino rampante, l’immagine della Madonna del Conforto, il simbolo della città, la dedica al centenario amaranto oltre a riferimenti all’artista Adolfo De Carolis, che proprio nel 1923 iniziò il suo intervento pittorico per affrescare la Sala dei Grandi della Provincia di Arezzo. Inoltre la scritta “al campo, alla battaglia” che riprende un brano della disfida di buratto e che è stato mutuato dai tifosi allo stadio. Nella lancia si fondono tanti temi che raccolgono le passioni e i legami affettivi più forti del popolo aretino.
“Ho disegnato il bozzetto in pochissimo tempo, mi è venuto di getto senza neanche pensarci troppo. Nella mia idea c’erano due cavalli rampanti ai lati dell’impugnatura, che poi con il maestro Francesco Conti abbiamo deciso di togliere perché la lancia sarebbe troppo fragile”.
E adesso che il Saracino è andato in archivio, manca l’ultimo appuntamento per suggellare un periodo palpitante. Il 10 settembre l’Arezzo compie cento anni e anche quello sarà un giorno da vivere con le farfalle nello stomaco.
“Dei colori amaranto mi sono innamorato da piccolo ed è una storia d’amore che non è mai tramontata. Leggo tutto, seguo tutto, lo stadio è casa mia, sono abbonato, tesserato con Orgoglio Amaranto e anche stavolta seguirò la squadra dalla curva Minghelli con mia moglie Daniela e mio figlio Elia. Ci sono legami viscerali che ti restano dentro per tutta la vita, da cui non ti puoi separare”.
E dopo? Quando tutto sarà passato, quando il quattro e quattr’otto in piazza Grande resterà un flash in memoria, quando l’Arezzo si sarà incamminato verso il prossimo secolo di vita, cosa resterà?
“Il piacere di aver ricevuto abbracci da persone che conoscevo solo di vista. L’imbarazzo misto a felicità che ho sentito addosso quando mi facevano i complimenti per il bozzetto. La telefonata di un vecchio amico dal Brasile, che aveva comprato un mio quadro tanti anni fa. Ha visto la lancia sul web e mi ha chiamato. Certe cose non si scordano”.