In un mondo in cui tutti sono famosi, nessuno lo sarà più. In un mondo così fare l’attore rischia di diventare un lavoro come un altro, dove non sappiamo dove si ferma l’immedesimazione, dov’è l’altro, dove siamo noi, in un continuo scendere e salire dal palco, che una volta è il social, un’altra la quotidianità, in un rimando che rischia di fare saltare le nostre fragili sicurezze; quelle che quest’epoca digitale sta destrutturando una alla volta. Un caos disorganizzato nel quale Riccardo Goretti (le foto dell’articolo sono di Serena Gallorini) da Stia ha trovato la sua dimensione, fluida, liquida, come tutto il resto, ma con alcuni punti fermi che, per esempio, ci fanno scrivere di lui che oggi è un attore teatrale, e non solo, affermato; anzi, come dice lui: «Molto bravo». Qualcuno di voi l’avrà visto nel film «Il Divin Codino» dove interpreta Maurizio Boldrini, il ‘Miyagi’ di Roberto Baggio, film pubblicato da Netflix con la regia di Letizia Lamartire. Raccontata così sembra facile, ma facile non è una parola che fa parte del vocabolario degli adulti e, ovviamente, non lo è stato nemmeno per Riccardo.
Figlio unico di Angiolo (maestro elementare) e Maria Rosa (impiegata) è nato a Bibbiena il 19 maggio 1979, come Andrea Pirlo e Flavio Parenti: «Sono pigro, da sempre, e mi piace fare le cose che mi riescono facili. Era così anche all’asilo: ero l’unico cui veniva lasciata ampia libertà nelle recite, andavo a braccio, istinto puro. Come con la scrittura. Credo che l’impronta derivi dai miei genitori cui sono sempre piaciute cose particolari. Loro guardavano “Quelli della notte”, “Indietro tutta!”, piuttosto che “Avanzi”, quando la maggioranza invece seguiva “Drive In”. E quando io gli chiedevo perché noi non guardassimo “Drive In” la risposta era: “Perché fa schifo!”. Non li ringrazierò mai abbastanza per questo, per il rifiuto di quella televisione che ha appiattito il gusto culturale in Italia e che ogni tanto viene recuperata e osannata in stile vintage. Anche Totò a suo tempo fu criticato, ma parliamo di altro. Purtroppo la cultura pop è fatta anche di questo e così diventa difficile dire cosa sia alto e cosa sia basso e indefinibile. Certamente, essendo un autore e un attore prevalentemente comico, mi è servito più guardare Corrado Guzzanti piuttosto che Ezio Greggio. Poi dovevo litigare per guardare quei programmi che andavano in onda tardi, ma questa è un’altra storia».
Diplomato al classico e laureato in Lettere con indirizzo teatrale, quando ancora a Firenze non c’era il DAMS, ha iniziato a studiare teatro con la scuola della NATA, Nuova Accademia del Teatro d’Arte, che è contemporaneamente una compagnia teatrale casentinese, due ore la settimana. Poi sono arrivati i primi spettacoli per i bambini e tutto il resto. Ma Riccardo è davvero un eclettico, non facendosi mancare la musica, per esempio, prima con il violino, proseguendo con il basso, infine batteria e percussioni, che gli sono tornate utili proprio per essere scritturato per il «Il Divin Codino». Più che l’arte le arti, come la scrittura. Diventando pubblicista, con lo storico mensile Casentino2000, e continuando per diletto con pratosfera.com da quando vive lì: «La scrittura, come la recitazione, mi viene facile. Ho scritto anche molti racconti, alcuni sono diventati dei libri, poi ho iniziato a portare in scena cose scritte da me, come drammaturgo di me stesso. Quello che ha avuto più successo è stato sicuramente il primo libro “Manuale pratico per non impazzire” con la prefazione di Antonio Rezza, uno dei miei attori italiani preferiti; la prima edizione ha venduto 1.200 copie ed è stato ristampato. Una cosa, però, la voglio dire: non scrivete libri. Cioè, in Italia è inutile scrivere libri, per quanto belli e interessanti, per case editrici medio-piccole, perché non avranno mai i canali distributivi adeguati a raggiungere risultati soddisfacenti». Riccardo è anche questo, divertente, tagliente, diretto, oseremo dire sincero, sicuramente mai banale.
Se oggi è un attore, teatrale, affermato è grazie anche alla sua testardaggine, oppure alla sua pigrizia, difficile dirlo: «Ho iniziato a picchiarci la testa dal 2004, quando avevo venticinque anni. Ho affrontato un quinquennio di gavetta pura, poi dal 2009 fare l’attore è diventato un mestiere con il quale potevo campare decorosamente. Adesso posso dire che sono circa sei anni che riesco a viverci bene e non parlo solo del ‘vestito dell’attore’ parlo di cose più terra terra. Direi che non c’è stato un vero momento di svolta, è tutto un crescere, un salire, un divenire, poi fai una cosa importante e dopo quella, piano piano, le cose cambiano. Per me è stata “La vita ferma”, per la regia di Lucia Calamaro (regista, drammaturga e attrice italiana, ndr). Abbiamo fatto tantissime repliche, abbiamo girato l’Italia e il mondo intero: dal teatro Odeon di Parigi al Festival del Teatro Internazionale di Rio de Janeiro. È come la vita, il teatro è una maratona, non i cento metri, è lunga, faticosa e possono accadere tante cose nel mentre», cose buone e cose meno buone.
«Spettacoli cui sono più legato? È difficile rispondere a questa domanda, spesso ogni attore tende a dire l’ultimo, anche per farsi pubblicità. Di sicuro “Stanno tutti male”, con Stefano Cenci e Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e “Annunziata detta Nancy”, il primo monologo che ho recitato dopo tanti anni dentro una compagnia: un monologo che parla della mia famiglia, da mia nonna, comica a sua insaputa, fino alla mia nascita, che è la fine dello spettacolo. A proposito di Colapesce: ha pubblicato dischi meravigliosi e profondi, anche se oggi tutti lo conoscono per la canzone di Sanremo». Il mondo dello spettacolo, però, non è solo fatto di up ma anche di down. Ci sono giorni in cui dici «ma chi me lo ha fatto fare», qualcosa che assimila contesti professionali diversi, ognuno con le proprie specificità: «Accade uno sì e uno no. Vedere pastette e furberie ti mette in difficoltà. Sbagliamo tutti e poi il nostro valore non è rappresentato oggettivamente, perché ci sono attori che incontrano il favore del pubblico e altri no, a prescindere dalla loro qualità. Quindi cinismo e disillusione sono dietro l’angolo. Ci sono periodi in cui sei sempre in giro, ogni due notti in un albergo diverso, sempre in macchina (come durante questa intervista, ndr), e se a venticinque anni è tutto fico a quarantadue no». E allora diventa importante lasciare che questi pensieri, negativi, non salgano sul palco: «Quando faccio i miei monologhi posso mettere il ‘pilota automatico’ anche per mezz’ora, roba che ti risvegli da una specie di trans ipnotica. Più difficile quando si recita insieme con altri colleghi. Certo, i pensieri negativi devono restare in camerino, insieme con lo Xanax, Fiori di Bach, meditazione e tutto quello che può aiutarti. Sono pochi gli attori di teatro che stanno bene. Non parlo per me, parlo della situazione generale. Io, per esempio, ho bisogno del live, del pubblico, devo guardarlo in faccia, sapere che recito per qualcuno. Nelle esperienze non teatrali ho rischiato di annoiarmi, anche se ho avuto compagni bravi e simpaticissimi».
Poi è arrivata la pandemia: «Devo dire che personalmente non me la sono vissuta male. Molti di noi hanno dovuto reinventarsi e visto che io voglio schivare la noia mi sono dato da fare. Con il direttore di pratosfera.com, abbiamo ideato una trasmissione in streaming “Principia il culturale”, da una citazione di “Berlinguer ti voglio bene”, raggiungendo le 20mila visualizzazioni e avendo ospiti come Diego Bianchi. Poi ho trascritto “Pompeo” di Andrea Pazienza che dovrebbe diventare uno spettacolo prodotto dal Teatro Metastasio di Prato, ne ho scritto un altro e ho lavorato alla tournée che inizierà a breve con lo Stabile dell’Umbria. Ci siamo dovuti reinventare, un po’ come tutti ed è accaduto come per i ristoranti: quelli affermati con la pandemia hanno fatto delivery e takeaway, quelli nati da poco hanno sofferto e stanno soffrendo ancora; la stessa cosa è accaduta agli attori». E i provini? «Be’, fatti più che mai con i self tape, cioè recitazioni al cellullare prima di buttare la pasta (ride, ndr). In realtà questo era un sistema in voga anche prima del Covid-19. D’altra parte la maggior parte dei provini in Italia si fa a Roma, così poteva essere comodo farlo in proprio e inviarlo; come sempre un bene e un male insieme. La cosa peggiore a dire la verità è che adesso richiedono provini a tutti per tutto. A me è arrivata una richiesta per un film di Oliver Stone, roba senza senso», Riccardo, per inciso, fa parte della scuderia di attori dell’agenzia Moviement, di Diego Abatantuono e Gabriele Salvatores, con compagni di viaggio come Fabio De Luigi ed Elio Germano: il suo agente è Fabrizio Rossi Marcelli.
Per «Il Divin Codino» cercavano un toscano che non avesse l’accento troppo marcato, con l’aria di un rocker fallito e che sapesse suonare la batteria: «Se non mi davano quella parte era meglio che smettessi di recitare, perché era fatta apposta per me. Parte ottenuta grazie alla casting agent Chiara Natalucci, la quale conosceva la collega che stava allestendo il cast. Il film ha avuto un grande successo nelle prime due settimane dall’uscita, poi è calato. Qualcuno ha criticato la durata. Abbiamo girato tanto ma in fase di montaggio è stata fatta una ‘feroce’ sintesi, credo che alcune scelte artistiche non siano state indovinatissime, nonostante il personaggio, l’argomento e un insieme di attori bravi e centrati. Cos’è cambiato per me? Niente, assolutamente niente. Oggi essere un attore non protagonista di un film di successo, medio successo, non cambia niente. Cambia se sei uno youtuber con 25 milioni di follower altrimenti non cambia niente. È un po’ come nel film Gli Incredibili: “Se tutti sono super nessuno lo sarà più”. E questo vale anche per gli attori e le attrici». In fondo non essere mai contento è anch’esso un combustibile per andare avanti, per pensare a nuovi progetti, come «La tragedia è finita Platonov», riadattamento del Platonov di Cechov, del regista e autore Liv Ferracchiati, con il quale partirà a breve per la tournée del Teatro Stabile dell’Umbria: «Le idee e i progetti non finiscono mai, per fortuna, anche se mi piacerebbe realizzarne alcuni dei tanti che ho nel cassetto. Su tutti uno spettacolo con Gioia Salvatori, attrice e autrice, comica, con la quale ho collaborato. D’altra parte il mio difetto più grande è che non riesco a fare quello che non mi piace, qualcuno potrebbe pensare che sia un pregio mascherato da difetto ma vi assicuro che non è affatto così; io mi adatto con difficoltà a ciò che non mi entra alla perfezione».
Nel mestiere dell’attore devi affrontare e schivare le critiche, le cattiverie, dimenticare chi ti ha detto che non ce l’avresti mai fatta e non sempre in buonafede, soprattutto le critiche dei media. Leonardo Di Caprio, Melissa McCarthy, Antonio Rezza, Stefano Cenci («attore sottovalutato»), Gioia Salvatori e Valentina Bellè, alcuni dei suoi attori, attrici, preferiti. Poi c’è il privato: «Stia è l’aria di casa, dove torno quando posso per stare con i miei genitori, oggi entrambi pensionati, e rimettere in ordine alcune cose; il buen retiro insomma. Però non la cambierei con Prato, dove vivo adesso. Dispiace dirlo ma il Casentino è sempre più chiuso, ogni volta che torno c’è meno roba di quella precedente. Prato, invece, è una via di mezzo, una città con la giusta dimensione che sconta la narrativa dei cinesi e dei migranti, nascondendo una vivacità culturale incredibile, locali dove si suona musica dal vivo, ecc. Il Teatro Metastasio, per esempio, è sicuramente quello con la produzione più viva e interessante di tutta la Toscana, grazie anche al lavoro di Massimiliano Civica, mentre la Pergola di Firenze è diventato una statua d’oro in mezzo al deserto».
Guardandosi indietro Riccardo avrebbe solo una cosa da dire al ragazzo che era: «Non iniziare a fumare. A vent’anni non te ne rendi conto, oggi fumo molto e questo mi crea problemi con la pressione e con il mal di gola, che non è il massimo per un attore». Perché alla fine tutto torna lì, alla recitazione: «È un po’ come quando siamo bambini. È un mondo dentro un altro mondo. È un continuo immaginarsi dentro situazioni che non hai vissuto e che a volte nemmeno esistono. In questo mondo ci sono così tante poche cose che a me piace continuare a immaginarne altre, a inventarne sempre di nuove. Io non credo nell’aldilà. La recitazione mi aiuta a combattere la noia della vita». Così è (se vi pare).