Spazio Seme snc è un Centro Artistico Internazionale, un’azienda culturale e molto altro ancora. Di Arezzo sono i suoi fondatori, ad Arezzo è nata e cresciuta, in Arezzo ha trovato partner con i quali collaborare, pur mantenendo sempre uno sguardo oltre l’orizzonte, un orizzonte che grazie alla cultura non può che essere globale. Francesco Botti, Gianni Bruschi e Leonardo Lambruschini sono i tre codirettori artistici della struttura che si trova in via del Pantano 36, con tre percorsi formativi diversi e disorganici, che hanno trovato una strada comune per realizzare progetti culturali rivolti ai bambini come ai ragazzi, dagli adulti agli anziani. Francesco (50 anni) ha fatto il liceo classico per poi frequentare la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano come attore; nel 2011 ha pubblicato con Guanda Di corsa, di nascosto e nel 2015 ha creato una scuola residente di scrittura creativa Cantiere di Storie. Gianni (54), cantante e vocal coach, si è laureato in Storia del teatro e dello spettacolo per poi acquisire varie qualifiche professionali, esperto di formazione, counselor, animatore di comunità, tra le altre, studiando canto, teatro e mettendo insieme trentacinque anni tra esperienze concertistiche, insegnamento, tournée teatrali e direzioni artistiche in patria e all’estero. Leonardo (44), performer, ha studiato Agraria fino alla tesi senza laurearsi, iniziando un percorso di formazione che l’ha portato a creare Pratika e Nausika, insieme con Federico Batini, specializzandosi in consulente di orientamento fino a incontrare la danza e sono già più di dieci anni che insegna contact improvisation ad adulti e bambini in Italia e nel mondo; è uno degli organizzatori dell’Italy Contact Fest, riferimento internazionale della danza e del movimento di improvvisazione.
«Spazio Seme nasce nel 2012 – ricorda Leonardo –, un’impresa culturale che opera nel mondo dello spettacolo offrendo occasioni di incontro e collaborando con realtà nazionali e internazionali. Utilizziamo modelli organizzativi circolari per autosostenerci in maniera indipendente, perché abbiamo sempre creduto che l’arte fosse un lavoro e non solo hobby e passione. Così abbiamo creato un luogo pubblico dove le arti si incontrano, un luogo di pubblico spettacolo. È anche un coworking dove ognuno può fare la propria ricerca, attraverso mezzi diversi. In questo ultimo periodo, grazie al nostro codice Ateco, abbiamo lavorato molto con i bambini con attività socioeducative, con le lezioni individuali di canto e lo abbiamo fatto anche quando eravamo in zona rossa. Questo, nel rispetto delle norme anti-Covid (distanziamento sociale, mascherine, ecc.), ci ha permesso di mantenere un rapporto con i nostri clienti e offrire un servizio quanto mai necessario in un periodo simile». Una realtà più vicina ai modelli associativi, fatta di inclusione e relazioni con i clienti, senza perdere di vista il profitto: «È il nostro lavoro – sottolinea Francesco –. Riconoscerla come un’impresa significa dare valore alla cultura, facciamo arte e diamo servizi grazie a un’attività commerciale». Con la cultura si mangia è un’espressione decisamente inflazionata, ma è questo il concetto chiave, non attirare risorse con modalità distanti per poi realizzare dei progetti, ma scegliere cosa offrire e metterlo sul mercato aspettando la risposta dei clienti, che sono liberi di decidere e tornare. «Non vogliamo dimostrare niente ma fare semplicemente il nostro lavoro, dare un contributo alla comunità e rappresentare un servizio, dai due agli ottant’anni», dice Francesco. Mentre Gianni sottolinea un altro aspetto: «L’arte è un lavoro quotidiano a diretto contatto con le persone, le quali hanno così la possibilità di iniziare a fruire cultura, attraverso il canto, la danza, il teatro, e crescere per essere pronti ad accogliere proposte ancora più alte, come un collante che ci mette tutti insieme e ci fa crescere, nella sua ampiezza e nella sua immediatezza». E grazie alla varietà delle proposte il pubblico che in questi anni è transitato ed è tornato allo Spazio Seme è composito e variegato, dimostrando che c’è voglia di arte e di cultura e che ogni suo spicchio mira a target diversi: «La nostra esperienza ci dice che potrebbero esserci molte più persone e che queste potrebbero fare rete in città per realtà come la nostra, collegandosi e collegandoci, in modo che possano avere tante visioni differenti, uno spettro infinito di proposte culturali che si intersecano prendendo strade continuamente nuove».
Uno dei temi, quando si affronta questo tipo di argomenti, è il rapporto con le istituzioni e qui Spazio Seme ha giocato sempre d’anticipo, mantenendo rapporti costanti con realtà internazionali pur rimanendo stabile ad Arezzo: «L’Europa riconosce la nostra forma giuridica di impresa culturale che rispetto a un’associazione ha un punteggio maggiore: stabilità di bilancio, maggiore credibilità, fattori che ci hanno permesso di vincere dei bandi – afferma Leonardo –. A livello locale, invece, i rapporti con le istituzioni sono sporadici e per piccoli progetti. Ci piacerebbe sviluppare qualcosa di più ampio, come stiamo facendo a livello internazionale ma in questi anni abbiamo trovato difficoltà a fare rete con la parte istituzionale». Cosa che invece Spazio Seme riesce e fare benissimo con realtà come Oxfam Italia, OIDA, l’Orchestra Instabile di Arezzo, Sosta Palmizi, Accademia dell’arte, Arezzo PsicoSintesi e tanti altri; organizzando masterclass, lavorando con le scuole e i ragazzi diversamente abili. Un dialogo continuo con le altre realtà della città, della provincia e delle altre regioni. Tutto questo in un Paese nel quale manca una formazione artistica che possa avviare alle professioni culturali: «È paradossale – afferma Francesco – in una nazione che possiede l’80% del patrimonio artistico mondiale, non mi capacito. Eppure ci sono corsi meravigliosi, insegnanti competenti e luoghi per farla, ma manca quel passaggio che c’è, per esempio, negli Stati Uniti piuttosto che in Inghilterra, dove l’artista è un libero professionista specializzato e il suo un lavoro riconosciuto come utile alla società». Gli fa eco Gianni: «Esistono corsi di specializzazione mirati ma spesso ci vuole una famiglia che comprenda le capacità di un ragazzo o una ragazza per aiutarli nella crescita. Personalmente mi sono dovuto arrangiare molto e ho notato come l’aspetto artistico sia poco valorizzato nei percorsi scolastici in generale. Eppure la danza, il teatro, il canto, la musica permettono di entrare in contatto con parti di noi che non sapevamo neanche esistessero, possono darci quella presenza di sé, quel qui e ora di cui si parla tanto e che ci permetterebbe di affrontare con maggiore consapevolezza i momenti più critici della nostra vita». Spazio Seme negli anni è cresciuto e si è affermato grazie alla sua multidisciplinarietà, fuori dagli schemi, per stratificare un sapere che diventa coscienza e infine linguaggio, un linguaggio costruttivo che sappia parlare agli altri e alle arti, dopo averle comprese a fondo.
Il Covid-19 ha cambiato le nostre vite e molte cose delle quali ancora non ci stiamo rendendo conto. Dalla scuola al lavoro, dal divertimento alla cultura, in quel passaggio da analogico, presenza, al digitale, virtuale, trasformando i nostri neuroni e pure le relazioni tra le persone, che stanno alla base di tutto, quindi anche della cultura che sta mutando, è già mutata: «Cambia l’uomo, cambia anch’essa che dall’uomo è fatta. Voglio pensare che in momenti come questo, di emergenza, di smarrimento, di pandemia, nel quale ci siamo dentro tutti, la cultura rappresenti un grosso nutrimento, in particolare per attribuire significato alle cose che ci stanno accadendo, dimostrando ciò che è: una risorsa fondamentale», dice Francesco. «Lo sbaglio più grande che si possa fare adesso è aspettarsi che tutto torni come prima. Io spero che quello che ci sta accadendo possa rappresentare un grande momento di riflessione per fronteggiare il domani e immaginare il mondo nuovo. Anche nelle relazioni fra persone, nella vicinanza e nella distanza, cambieranno molte cose, alcune sono già cambiate. Eppure si è voluto mettere la cultura all’ultimo posto, come una cosa non necessaria, quando invece è una parte fondamentale della vita dell’uomo, in tutte le sue varianti e lo sarà anche in futuro. Diversa da oggi, ma sempre presente e, speriamo, ancora più incisiva nella realtà che dovremo affrontare», aggiunge Gianni.
La pandemia ha scavato dentro di noi, le nostre vite e la nostra economia. Tutte le attività, tutti i lavori ne hanno subito le conseguenze, seppur con numeri diversi. L’ambito culturale è tra i più colpiti e Spazio Seme non fa differenza, anche se con sfumature diverse tra le varie proposte culturali: «Passare in un colpo solo a un terzo della produzione è stata dura. Stavamo attraversando anni di grazia, l’estate del 2020 sembrava l’inizio della rinascita e poi siamo ricaduti in nuove chiusure, uno shock. Noi siamo rimasti in piedi, non ci siamo abbattuti e grazie anche alla vicinanza fisica, insieme con lo spazio necessario, siamo riusciti ad andare avanti con alcune attività. Dal punto di vista prettamente personale il Cantiere di Storie non solo non si è interrotto ma ha visto crescere i partecipanti e nel frattempo mi sono dedicato alla scrittura del mio romanzo, che sto ultimando». Più colpito Leonardo: «Il mio lavoro si basa sul contatto fisico e la relazione tra i corpi… è venuto a mancare tutto, ma la vita ha deciso di regalarmi l’esperienza di diventare genitore e mi ci sono buttato con tutte le forze. Oltretutto la mia compagna, Consuelo Pacheco, danzatrice cilena, per tornare ha attraversato varie peripezie e adesso ci stiamo godendo l’un l’altra la danza insieme con nostra figlia Amanda. Questo fermo obbligato mi ha permesso di ripensare e riprogettare ma viviamo nell’incertezza delle riaperture e così è tutto accelerato, nel senso che dovremo essere pronti a cogliere l’attimo quando si presenterà». Allo Spazio Seme la pandemia ha portato via quel movimento di persone che rappresentava la vitalità delle sue sale polivalenti per corsi, prove, spettacoli, convegni e magari la possibilità di mangiare qualcosa prima o dopo: «Professionalmente tante cose si sono fermate ed è mancata soprattutto la magia che si crea all’interno tra pubblico e artisti, tra chi ci segue da anni e noi stessi. Questo periodo ha toccato vari aspetti e ciò che siamo e siamo stati, sperando di tornare a fare arte e cultura per il piacere nostro e degli altri», dichiara Gianni.
Ma per fortuna la cultura è viva, più che mai, ed essendo un prodotto umano come l’uomo pensa, riprogetta e guarda al futuro, con quell’inerzia tutta bipede che ci contraddistingue, nel bene come nel male. Intanto Spazio Seme ha vinto un progetto europeo, insieme con Sintagmi impresa sociale, che coinvolge Italia, Danimarca, Grecia e Portogallo, due anni di iniziative per interrogarsi sulle competenze trasformative dell’educazione degli adulti e affrontare il concetto di come l’arte possa facilitare e sviluppare la possibilità di certificarle. L’estate, in attesa di capire cosa si potrà fare, sarà dedicata ai campi d’arte per i bambini, tra disegno, giardinaggio, orto creativo e attività sportive, sempre molto apprezzati dai genitori: «Nel frattempo sono diventato coordinatore del Comitato artistico territoriale di OIDA», ricorda Gianni. Mentre è in stand by un progetto con alcune università statunitensi: «Venti studenti dovrebbero stare con noi per un mese, nel quale fare un percorso di formazione su musica e canto lirico. Abbiamo tanta voglia di ripartire e dobbiamo continuare a progettare. Non a caso abbiamo aperto le iscrizioni per il festival di danza che si dovrebbe tenere a giugno, insieme con il word camp, progetto di scrittura creativa. Ma ci tengo a dire che siamo aperti, lo siamo sempre stati, a qualsiasi tipo di collaborazione e chi ha bisogno dei nostri spazi può contattarci senza preoccupazioni. Il digitale ci ha aiutato a stare in piedi in questi mesi difficili», sussurra Leonardo.
E poi c’è il Cantiere di Storie di Francesco: «Una scuola di scrittura creativa dove si scrive, si legge ad alta voce, si fa editing condiviso per provare con mano la differenza tra gusto personale e una partitura ben scritta. Io ritengo che più che imparare a scrivere si debba imparare a comunicare attraverso la scrittura. Chi frequenta il Cantiere usa la parola scritta per un dialogo personale, condividere storie proprie, fino a pubblicare un vero e proprio libro, come un percorso dentro noi stessi e poi, solo alla fine di questo, misurare la capacità di trasmetterlo agli altri. È una sartoria nella quale s’impara a confrontarsi con alcuni pregiudizi legati alla scrittura. C’è chi scrive poco, chi troppo, quelli che si sentono già degli scrittori ma non hanno capito e allora imparano a non prendere in giro il lettore, a capire l’importanza delle parole. È una cura continua della parola, prima che possa essere divulgata fuori di qui. Durante la pandemia abbiamo affrontato delle fiabe per capire come si devono leggere e organizzato seminari con colleghi come Laura Bosio e Divier Nelli e adesso organizziamo il word camp, dove dormire, mangiare e stare tutti insieme per vivere delle esperienze bellissime, dal punto di vista umano e culturale. Ovviamente, l’isolamento creato dal Covid-19 ha spinto molti verso la parola e la scrittura, ha scatenato la voglia di raccontarsi, poi si deve fare una scrematura. Alla fine di ogni percorso pubblichiamo un’antologia con i racconti dei partecipanti, grazie anche a docenti come Mariano Sabatini, Giada Tedeschi e Valentina Fortichiari. Sono molto contento che questa cosa sia nata qui, ad Arezzo», in via del Pantano 36. Lì c’è un’eccellenza culturale della nostra città che ha un respiro internazionale e che merita di essere conosciuta, sia dai più distratti, sia da chi dovrebbe avere presente quali realtà abitano il nostro territorio. Perché l’arte e la cultura sono l’ieri, l’oggi e il domani di noi stessi, anche se non sempre ce ne rendiamo conto.