La formazione romana, Rossellini, Fellini e Godard. Le opere da regista e i documentari. L’ascesa negli anni ’70, lo studio di doppiaggio, l’amore per Piero della Francesca. E adesso un grande progetto per il 700esimo anniversario dalla morte di Dante. Alessandro Perrella racconta il suo romanzesco rapporto con il set e la macchina da presa
Una pellicola avvincente e, sotto la superficie della trama, una profondità spiazzante.
La vita di Alessandro Perrella sembra davvero un grande film, ricco di passione, star e colpi di scena. A tratteggiarne i contorni sono le stesse parole del regista che non manca di sottolineare le parti lontano dai riflettori, dai grandi incontri, dalle soddisfazioni professionali. Per dare importanza al dettaglio, all’attimo. A ciò che non torna più: il presente vissuto, la bellezza nella semplicità.
E grande spazio nella storia, nonostante chi racconta abbia conosciuto Fellini e Godard, Pasolini e Rossellini, lo trovano i silenzi di Arezzo, la maestosità dei suoi capolavori, il genio di Piero della Francesca.
Un incontro tardo, per chi in gioventù ha respirato nella rutilante Roma degli anni ’60, eppure pieno, pienissimo: l’Aretino e i suoi gioielli si sono schiusi agli occhi di Perrella nell’ultimo decennio. “Accadde che un giorno – racconta – mi fermai ad ammirare la Madonna del Parto a Monterchi. Un dipinto di una bellezza incomparabile. Ed ebbi una sorta di mancamento, quasi fossi colpito dalla sindrome di Stendhal. Fu rivelatorio. Fui preso da quel momento da un irrefrenabile desiderio di entrare in questa bellezza, manifestatasi così d’improvviso. Altri registi prima di me incontrarano Piero e la Madonna del Parto: Andrej Tarkosvskji, Valerio Zurlini, Pier Paolo Pasolini. Quest’ultimo rimase folgorato dal Ciclo della Vera Croce al punto da volere i costumi per il suo ‘Vangelo secondo Matteo’ nello stile del dipinto. In me, alla vista della Madonna del Parto, germogliò il seme di un’idea, sbocciata nel docufilm che ho poi realizzato su Piero della Francesca. Da quella visione in Valtiberina è scattato il profondo amore per le terre aretine e le loro genialità. Che se non fosse stato per Campaldino, forse sarebbero rimaste qui, ad abbellire Arezzo e i suoi dintorni, anziché costrette a lavorare per la gloria di Firenze. Giusto il Vasari riuscì ad emanciparsi da questa costrizione”, dice col rammarico proprio degli aretini.
Eppure la sua storia inizia e si dipana per gran parte del tempo lontano dalla Toscana. Alessandro Perrella è nato a Macchiagodena, in provincia di Isernia, nel 1945, ma il cinema era nel suo destino (“era come una malattia”) e da ragazzo, agli inizi degli anni ’60, si trasferì nella Capitale per frequentare, grazie a una borsa di studio, il Centro Sperimentale di Cinematografia. Erano i tempi della trattoria da Mondino, ci passavano Fellini e Alberto Sordi. “Io avevo 20-22 anni e quasi niente in tasca. Ma cosa potevo desiderare di più?”, ricorda. Arrivò il 1968. “E cambiò tutto, il centro fu dato in mano a Roberto Rossellini: lì conobbi Cesare Zavattini, Nanni Loy, Vittorio De Sica, Antonio Pietrangeli. E poi Pier Paolo Pasolini, Jean Luc Godard. Ebbi la fortuna, terminati gli studi, di andare a girare un documentario sulle zone terremotate del Belice, ricevetti 400mila lire per farlo dalle mani di Pasolini. Ma il primo ruolo da assistente alla regia, ultimo tra gli ultimi, lo ebbi nella prima serie televisiva italiana, ‘Gli Atti degli apostoli’ di Rossellini, nell’estate del ’69. Portai 500mila caffè”, dice sorridendo Perrella. Fu il trampolino per il ragazzo di talento e grande volontà, il passaparola fece il resto. Partecipò al Satyricon di Fellini (“feci la comparsa, 10mila lire e il cestino”), poi assistente alla regia su “Ludwig” di Luchino Visconti.
“La seconda industria di Roma – dice – dopo quella edilizia, era quella cinematografica. Si girava un film al giorno, perché costava poco. Poi tutto crollò con la crisi petrolifera. Per me la vera svolta arrivò nel ’75, anno Santo, girai una serie di documentari sull’arte. Vendetti i diritti di quelle pellicole agli istituti italiani di cultura nel mondo, mi affrancai economicamente e le scelte per me furono più facili”, prosegue Perrella.
Un altro tassello importante della sua esistenza è stato posto dal suo studio di doppiaggio “Tecnomovie”. “Tutto nacque perché Vittorio Balini, bagnino di Ostia col senso degli affari, si mise a comprare i negativi dei film delle società romane fallite per la crisi. Con l’avvento delle tv private e l’ascesa di Silvio Berlusconi, tutti quei nuovi canali fioriti all’improvviso andavano riempiti di contenuti. Ecco, quei negativi li controllai io, da tecnico. Balini prosperò, iniziando a fornire alle tv film e serie americane, la prima di molte altre fu il Doris Day show. Questi prodotti andavano doppiati. E così…”.
Recentemente, per il cinema, Perrella ha girato “Hell’es Fever” e “Sinner”. Quest’ultimo con Robert Englund, il celebre Freddie Kruger della serie “Nightmare”. “Mi divertii tantissimo – ricorda Perrella – a fare questo film thriller. Girammo nel castello di Giove, in Umbria. E poi a Spello. Robert all’inizio si atteggiava a star quale era, poi cambiò a tavola. La cucina italiana ruppe il ghiaccio”.
E poi è arrivata la Madonna del Parto. “Ho deciso di smettere con il cinema. E ho girato il docu-film su Piero della Francesca”. Una pellicola di successo, proiettata in Parlamento e pluripremiata. A cui è seguito un documentario sulla Leggenda della Vera Croce commissionato dal Comune e che ha rappresentato Arezzo all’Expo di Milano 2015. “Ma voglio presto realizzare un’altra pellicola ad Arezzo, dedicata ad Ivan Bruschi dal titolo ‘L’identià rubata’”.
E con Arezzo, negli ultimi anni, il rapporto si è consolidato. Presto vedranno la luce gli ultimi lavori di Perrella, tutti legati al territorio. “Ho detto subito sì al Club Lions Chimera, che mi ha coinvolto nelle iniziative per i 700 anni dalla morte di Dante. Stiamo editando un film muto del 1911, realizzato dalla società di produzione dell’epoca Milano Film, recentemente restaurato dalla cineteca di Bologna: ‘L’Inferno di Dante’. La voce scelta per il racconto è quella di Luca Biagini (John Malkovich e Colin Firth). Con il contributo delle fondazioni Guido d’Arezzo e Arezzo Intour faremo la prima proiezione al teatro Petrarca”. Non solo. “Uscirà anche un corto, di 15 minuti, legato a Dante, frutto della collaborazione con Anna Bartolini e Domenico Martini”. E infine un importante progetto, di nuovo legato a Piero della Francesca. “Ho avuto la fortuna di incrociare il mio cammino con una riproduzione in scala 1:1 della Vittoria di Costantino, dal Ciclo della Vera Croce. Era del pittore Wolfango Peretti Poggi, che aveva una casa a Monte San Savino. Mi è stato chiesto di porre quell’opera, ora nella mani della figlia Alighiera, in un luogo consono. E con le fondazioni Intour e Guido d’Arezzo stiamo cercando la giusta collocazione. Quale miglior benvenuto per i visitatori della splendida Arezzo?”.