Silvia Vanni, 30 anni, era a New York quando ha avuto l’idea di ShareMyBag, una community per condividere abiti e accessori con le amiche della zona. Ma per concretizzare l’innovativa intuizione è tornata nel suo Paese.
“Desideravo che il progetto fosse italiano”
Purtroppo no, non possiamo comprare tutto ciò che ci piace. E sono d’accordo che quella Céline sarebbe perfetta per l’inaugurazione in centro. Ma, a occhio e croce, sono tre stipendi netti, circa dieci mesi di affitto. Quasi inaccessibile. O forse no.
Silvia Vanni, 30 anni, sguardo dolce e deciso e una laurea in marketing strategico a Firenze, ha avuto un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria per i fashion addicted: si chiama “ShareMyBag”.
“Ho viaggiato tanto per lavoro e per piacere. Sono stata a Dubai per quasi un anno e poi, nel 2015, sono andata a vivere a New York. Brand manager a Manhattan per un’importante agenzia di marketing. E’ lì che ho avuto l’intuizione”. Ogni sera un evento a cui partecipare con capo, colleghi o rappresentanti di prestigiose griffe. L’armadio non è infinito e, mentre a casa le amiche possono prontamente venire in soccorso con vestiti nuovi o particolari accattivanti, in una metropoli straniera è più complicato. “Ho pensato che sarebbe stato utile un Airbnb per la moda, poter condividere con altri appassionati alcuni accessori”.
Perché proprio le borse? “Non ci sono solo borse ma anche altri prodotti come capispalla, occhiali, scarpe. Ma la borsa è un simbolo per una donna. Dentro noi riusciamo a mettere il nostro mondo, sono moderni kit di sopravvivenza urbani. E poi una tracolla può ridisegnare interamente lo stile di un abito”.
Dall’idea alla pratica il salto è stato breve anche se non privo di ostacoli. “Per prima cosa ho deciso di rientrare in Italia. Ho effettuato alcune ricerche e ho constatato che non esisteva niente del genere. C’erano affitti o noleggi di oggetti firmati, negozi fisici e online che offrivano questo servizio ma niente che mettesse in contatto le persone. Che, semplicemente, le aiutasse a scambiarsi un accessorio. E io non volevo che la mia futura azienda avesse sede negli Stati Uniti, desideravo che l’idea fosse italiana. Di un’aretina per la precisione”. Così Silvia è rientrata in Toscana, ha registrato il marchio e ha avviato i primi passi per la costruzione del progetto. “Ho dovuto destreggiarmi fra bilanci, piani triennali e strategie di marketing e comunicazione. Non è stato e non è semplice ma, per fortuna, ho trovato lungo il mio percorso tante persone disponibili e competenti che mi hanno aiutata. Da poco ho ottenuto il fondamentale sostegno di Nana Bianca, l’acceleratore di Startup con sede a Firenze. E’ uno dei migliori d’Italia”.
ShareMyBag, da gennaio 2018, è un portale e una vera e propria community dove iscriversi, fare annunci e approfittare di una ghiotta occasione. E’ un modo per essere trendy senza dover spendere una fortuna e, magari, guadagnare su ciò che si possiede e che non viene sfruttato abbastanza. “E poi si possono conoscere nuove amiche nella propria città. I prodotti vengono selezionati in base all’area geografica e gli scambi avvengono fisicamente, incontrandosi in un bar o in centro”.
Per far conoscere l’idea e spiegare facilmente il suo funzionamento, Silvia organizza anche alcuni eventi dove le persone possono partecipare, portando dietro un capo che metteranno in “condivisione” sul portale. Un fotografo per le prime immagini di presentazione e un piccolo aiuto per la registrazione e la pubblicazione del primo annuncio. Un gioco da ragazzi. Anzi da ragazze.
“Quante volte ci siamo trovate a fissare il nostro guardaroba con la sensazione di non avere niente da indossare? E quante volte ci siamo sentite in colpa per aver acquistato una borsa costosa che non utilizziamo quasi mai? Ecco, con ShareMyBag ho pensato di fornire queste risposte”
Il progetto sarà promosso sia in Europa che in America, dove diventerà il principale mercato di riferimento.
“Live local think global. Gli Stati Uniti sono lo sbocco naturale per un’invenzione come la mia. E’ una società energica e curiosa con la capacità, tutta americana, di capire e esaltare una buona idea, di spingere in alto i sogni senza preoccuparsi di chi sei e da dove vieni. Noi dovremo tornare a credere nella creatività italiana e investire nei progetti di giovani appassionati. Non occorre volare lontano per esprimersi. Le opportunità dobbiamo crearle noi stessi. Io voglio continuare a viaggiare, a scoprire il mondo, a capire e studiare paesi differenti. Ma poi tornerò in Italia, nella mia Arezzo dove ho tutto ciò che mi rende felice”.