L’Università dell’Oklahoma, la più prestigiosa tra quelle pubbliche negli Stati Uniti, ha aperto una sede distaccata nel centro storico del capoluogo. Un esperimento vincente condotto dal direttore Kirk Duclaux: “l’esperienza in Italia cambia la vita di questi giovani”. E contribuisce a formare la futura classe dirigente a stelle e strisce
“Arezzo ti cambia la vita”. Parola di ex studentessa americana. La sede della University of Oklahoma – in zona San Domenico – ha cortili ordinati e saloni pregevolmente restaurati. Al centro delle pareti ci sono delle targhe. Intere porzioni della struttura sono dedicate agli allievi che, dopo la laurea e il successo lavorativo, hanno deciso – come forma di gratitudine – di far cospicue donazioni all’istituzione in cui si sono formati.
“Spending a semester abroad is truly a life changing experience. There are so many beautiful experiences and people that I have encountered that have truly shaped my views on the world”.
E’ la grata testimonianza che campeggia nella home page del sito della sede aretina della University of Oklahoma. Suona più o meno così: “Trascorrere un semestre fuori ti cambia la vita. Ho fatto così tante esperienze favolose e ho incontrato persone così splendide che hanno plasmato il mio punto di vista sul mondo”.
Insomma, è anche merito d’Arezzo se alcuni ex studenti, oggi parte della classe dirigente americana, hanno fatto fortuna. L’altra fetta spetta di diritto all’istituzione incarnata dal direttore Kirk Duclaux, che nell’arco di una decina d’anni ha attratto risorse (e nuovi allievi) come una calamita. Con ricche ricadute per il territorio ospitante. “Nel 2015 – assicura Duclaux – abbiamo iniettato nell’economia aretina un milione e 100mila euro, tra pernottamenti, buoni pasto, trasferimenti”.
Come ha fatto un piccolo ma pregiato pezzetto d’America ad innestarsi così bene in Toscana? Per capirlo, occorre fare una salto di là dall’Atlantico e planare nel cuore degli Usa, a Norman: terza città dell’Oklahoma con 110 mila abitanti e sede dell’università statale. Trentamila iscritti da tutto lo stato e pure da fuori: è l’accademia pubblica più prestigiosa degli Stati d’Uniti. Il campus è una città nella città. Da qui è partito l’impulso per cercare una sponda nel paese del Rinascimento e la missione è stata affidata al vulcanico Kirk Duclaux, professore di storia dell’arte. “Io ero già in Italia – racconta – a Firenze. Prima di scegliere Arezzo abbiamo visitato diverse località: Mantova, Padova, Roma, Lucca. Cercavamo una soluzione intermedia: non una città caotica, ma nemmeno un luogo sperduto. Ad Arezzo abbiamo trovato la dimensione ideale. E’ ben collegata dai treni, c’è l’uscita dell’A1 ed è grande come Norman. E poi – esclama in un genuino slancio d’entusiasmo – è bellissima”. Scorre l’elenco di opere d’arte e monumenti, scavi archeologici e musei. “Una Firenze più raccolta. Ma c’è tutto, anche l’Università”.
Il progetto dell’OU in Italia è partito ufficialmente in uno scantinato, nella vecchia casa di Kirk, con una manciata di studenti. Poi è stata trovata la sede in centro storico, in Corso Italia, e posti letto dislocati in piazza San Francesco. Ma il successo del progetto ha permesso alla sede aretina della University of Oklahoma di investire ulteriormente, prendendo possesso, circa sette anni fa, dell’ex convento di Santa Chiara in zona San Domenico, che è stato recuperato, sistemato (con profitto anche per il pubblico decoro) e convertito a nuovo quartier generale dell’istituzione. Conta oggi 47 posti letto, tre aule, il giardino, la mensa, la biblioteca, la sala lounge, una great hall con pianoforte e una zona sotterranea archeologica, con pozzo etrusco e suggestive catacombe. Al complesso si aggiunge l’Annex in San Francesco, con altre tre aule, il laboratorio comupter e gli uffici amministrativi. E l’andirivieni di gioventù americana tra San Domenico e San Francesco è continuo, ha rivitalizzato tratti di strade battuti finora dai residenti del centro storico, che sono sempre di meno.
“Abbiamo 30-40 studenti diversi ogni semestre: qui continuano gli studi che avrebbero fatto negli Usa, ma in un contesto completamente diverso. L’attività si intensifica d’estate, con i campus. Ospitiamo contemporaneamente fino a 50 allievi, 500 diversi nell’arco di pochi mesi. Arrivano in Italia, magari la conoscono per stereotipi, quando vanno via ne sono innamorati. E tornano. Adorano l’arte, la Storia. Il cibo. Spostandosi a piedi nel centro storico scoprono la varietà e la bontà della cucina tipica di questo luogo”, aggiunge Duclaux.
E l’interazione con gli “indigeni” non si ferma qui. Ogni anno, come racconta il coordinatore della struttura Lucio Bianchi, l’University of Oklahoma si apre agli aretini con il Big Event che vede impegnati studenti italiani e americani insieme in un progetto sociale. Tredici giovani coinvolti il primo anno, lo scorso sono stati dieci volte di più (circa 140). Negli anni hanno ridipinto sottopassaggi (alla stazione ferroviaria, ad esempio), realizzato murales, piantato arbusti nei parchi, ridato dignità a strutture fatiscenti. “E’ un modo per farci conoscere dagli aretini. E per dimostrare affetto alla meravigliosa città che ci ospita”, chiude Duclaux.